A conti fatti

inadeguatezza si trasformò progressiva- mente in domande, rimaste per lo più sen- za una risposta esauriente. Domande sul perché delle scuole divise in italiane e te- desche; sul senso dello sdoppiamento di as- sociazioni come il soccorso alpino e l’Alpen- verein, accomunate dal medesimo impegno profuso nel soccorrere persone e animali in- fortunati; e sul paradosso di dover andare all’estero a studiare una lingua che si par- lava nel posto in cui vivevo. L’adesione a un’associazione culturale, Ju- venilia -nata a Vipiteno nel 1991 su inizia- tiva di un gruppo di giovani studenti e la- voratori di entrambi i gruppi linguistici, con lo scopo precipuo di favorire l’incontro tra i giovani che condividevano gli stessi in- teressi musicali e culturali- mi aiutò a met- tere a fuoco quanto la separazione tra “noi” e “loro” fosse non solo eterodiretta, ma an- che foriera di divisioni e, potenzialmente, conflitti: sia tra persone che abitano uno stesso territorio, sia a livello intra-persona- le in chi ha alle spalle vissuti fatti di tante “identità”. Per quanto piccola, Juvenilia fu un’esperienza di cooperazione e convivenza innovativa, particolarmente apprezzata da Alex Langer quando fu invitato a interve- nire a un convegno sulla guerra in ex Ju- goslavia. Unica nel suo genere nel panora- ma provinciale di quegli anni, Juvenilia in- nescò un processo trasformativo a livello sociale che coinvolse la maggior parte dei giovani e scosse la comunità vipitenese, di- visa dalle istituzioni e dalle stesse organiz- zazioni della società civile strutturate su base “etnica”, a dimostrazione del fatto che le periferie possono sviluppare una vitalità originale e preziosa (Langer, 1992). Unitamente agli scritti di Alex Langer, che iniziai a scoprire in quegli anni, la percezio- ne di uno scollamento tra un contesto socia- le, fatto di incontri e voglia di stare insieme, e un sistema di tutela disegnato per cristal- lizzare le differenze, mi incoraggiarono ad approfondire le origini e l’evoluzione del si- stema di tutela altoatesino-sudtirolese at- traverso la tesi di laurea. Decisi di concen- trarmi in particolar modo sull’istituto giu- ridico del “censimento etnico” e sul fragile bilanciamento tra due distinte esigenze di tutela: quella del “gruppo” e del singolo. Ed è stata quindi la ricca produzione di scritti di Alex Langer, al tempo in parte inediti 2 , che mi aiutarono a rileggere la sto- ria dell’Alto Adige-Südtirol e a comprende- re il significato di concetti come convivenza e comunità . E il percorso di conoscenza avviato con la tesi mi permise, quindi, sia di mettere mag- giormente a fuoco i miei obiettivi personali, sia di riscoprire le mie radici. Non è un caso se, nonostante abbia vissuto in tanti posti diversi e non risieda più fisicamente in Alto Adige-Südtirol da oltre vent’anni, ripren- dendo le parole di Alex Langer, solo Vipite- no è la “mia città” . (Langer, 1986). 2. Riflessioni sul “censimento etnico” L’origine e gli effetti della dichiarazione di appartenenza linguistica introdotta nel 1981 La tesi ripercorre l’evoluzione storica e nor- mativa che ha portato al sistema di tutela che, con alcuni miglioramenti, è tuttora in vigore in Alto Adige-Südtirol, concentran- dosi in particolare sulla “proporzionale et- nica”, ovvero il meccanismo in forza del quale l’ammissione ai pubblici uffici, o al godimento di determinati diritti, è definita non già sulla base di un metodo di libera e generale competitività tra tutti gli aspiran- ti, bensì in ragione di una suddivisione tra tre gruppi linguistici dei posti o benefici di- sponibili. L’analisi si focalizza in particolar modo sul sistema di accertamento nominativo del- l’appartenenza linguistica, introdotto dal Dpr 752/1976 per rendere più agevole l’ap- plicazione della proporzionale a partire dal censimento generale della popolazione del 1981. In quell’occasione, ai cittadini resi- denti in Alto Adige-Südtirol fu quindi ri- chiesto di dichiararsi alternativamente ap- partenenti al gruppo linguistico tedesco, italiano o ladino. Quello e i censimenti suc- cessivi si discostarono sostanzialmente dal- le precedenti rilevazioni censuarie, pari- menti rivolte a calcolare la consistenza dei gruppi linguistici, ma non comportanti al- cun tipo di dichiarazione nominativa e vin- colante. Dal 1981 in poi, il censimento al- toatesino-sudtirolese fu in sostanza respon- sabile di un’anomala e obbligatoria “iden- tificazione etnica” della popolazione, che si configurò tuttavia fin dall’inizio come una dichiarazione di volontà, non essendo pos- sibile alcuna forma di impugnazione della stessa fondata su ragioni di mancata corri- spondenza a verità 3 . L’obiettivo era disinnescare la conflittuali- tà. Dopo anni di tensioni e lotte che avevano visto succedersi, nei due fronti, diversi pro- tagonisti -la minoranza tedesca e lo Stato italiano, l’Austria e l’Italia e infine gli stessi gruppi linguistici in conflitto tra loro in ma- teria di lavoro, assegnazione di alloggi po- polari e toponomastica- l’intento era garan- tire un sistema di equa distribuzione di po- sti del pubblico impiego e risorse sociali. La scelta del legislatore fu, pertanto, quella di anteporre l’esigenza di tutelare il gruppo linguistico e preservarlo dal rischio assimi- lazionistico, a quella di riconoscere il diritto del singolo di appartenere a uno, due o a nessun gruppo linguistico. E lo fece ricor- rendo ad alcuni ben studiati meccanismi di “difesa etnica” (Langer, 1986). Le controverse conseguenze dell’applicazio- ne di un tale modello furono evidenti im- mediatamente: ostacolando la costruzione di una società multiculturale e multilingui- stica, avrebbe condizionato la crescita de- mocratica e pluralista dell’Alto Adige-Süd- tirol e i meccanismi di “difesa” si sarebbero potuti trasformare in fonti di “potere etni- co” (Langer, 1986). In particolare, questa impostazione avreb- be sacrificato i diritti di alcuni soggetti, che non potevano riconoscersi nei gruppi esi- stenti, tra cui i “mistilingui” e i cittadini stranieri. A distanza di quarant’anni, è evidente che il sistema di tutela basato sulla schedatura etnica abbia condizionato e in parte com- promesso la convivenza. Tuttavia, il colpo afflitto alla coesione sociale è stato, nel complesso, meno pesante di quanto previ- sto dagli oppositori delle gabbie etniche. Questo grazie a un mix di elementi positivi, tra cui alcune innovazioni normative, che resero via via la dichiarazione di apparte- nenza linguistica meno rigida e l’applica- zione della proporzionale etnica più flessi- bile. A seguito della dichiarazione di illegit- timità da parte del Consiglio di Stato del Dpr n. 542 del 28 settembre 1981, nella parte in cui si escludeva la possibilità di di- chiararsi alloglotti o mistilingui, già nel 1991 fu riconosciuta la possibilità di dichia- rarsi non appartenente a nessuno dei tre gruppi, indicando tuttavia l’aggregazione a uno di essi 4 . E anche alcuni paradossi, em- blematici degli anni del rigido separatismo etnico, come l’impossibilità di scegliere li- beramente la scuola, diventarono un brutto ricordo 5 . Ad attenuare la rigidità del sistema, sono state inoltre le tante conquiste dal basso della società civile e alcuni trend sociali e demografici, che hanno via via incoraggiato il superamento nella pratica dei confini “et- nici”. 14 ai tempi della sua introduzione il censimento etnico aveva una logica che, a distanza di 40 anni, appare in sé anacronistica intervento

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