A conti fatti
17 è stato in grado di creare un grande rifiuto nella società, un fronte del “No”, non si è registrato un boicottaggio. Langer ha sot- tovalutato la voglia di consenso presente nella società sudtirolese, un fattore costan- te fino ai nostri giorni. Un atteggiamento di conservatorismo e attendismo: “Vediamo cosa succede, adattiamoci, troveremo sem- pre una via di fuga…”. Il risultato immediato del movimento lan- geriano fu quindi molto ridotto: c’è stato po- co dissenso rispetto al censimento, solo qualche migliaio di persone è uscito dal bi- nario preconfezionato della dichiarazione linguistica rifiuutando di dichiararsi, men- tre la maggioranza ha scelto il pragmati- smo: cerchiamo di inserirci in un gruppo, valutiamo vantaggi e svantaggi… Il valore fu quindi nell’attivare una di- scussione approfondita nella società sudtirolese sulla convivenza? Sì. Anche se a livello numerico il gruppo di opposizione rimase molto ristretto, qualche centinaia, migliaia di persone, riuscì però a muovere le acque a molti livelli, anche di dibattito politico e parlamentare, fino alle rappresentazioni teatrali… Mi ricordo an- cora la grande folla al teatro Waltherhaus di Bolzano per la rappresentazione di “Te- ste tonde e teste a punta” di Bertolt Brecht, messa in scena dal Kulturzentrum sotto la regia di Götz Fritsch. Si sentiva che questo pezzo rifletteva la nostra situazione! C’è stato sicuramente un intenso dibattito su queste tematiche -un dibattito che ades- so manca. Però nella pancia della società stessa non è che abbia mosso gli animi… Quale valore ebbe questo intenso di- battito per la società sudtirolese? Era la prima volta che c’era? Fu una discussione fondamentale sul ca- rattere della convivenza. In precedenza c’era stato negli anni 1967-1969 il dibattito sul Pacchetto, ma si trattava per la mag- gior parte di discussioni tra specialisti. Ca- pire fino in fondo le norme dell’autonomia era abbastanza difficile. Per un cittadino “normale”, non addetto ai lavori, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta capire tutte queste regole dell’autonomia, un Pacchetto con 137 norme, era come un rebus. Invece il dibattito sul censimento in un certo senso imponeva di riflettere da una parte sugli effetti dell’autonomia e, dall’altra parte, offriva una specie di visio- ne della società futura, della politica che di- scuteva intorno a questa tematica. Era una specie di prospettiva alternativa che si apriva con la seguente domanda: vo- gliamo avere una società aperta, dove i gruppi linguistici comunicano e si integra- no, o preferiamo avere una società separa- ta, non proprio di apartheid ma qualcosa di molto simile? Questo fu il dibattito -da lì si è aperta questa idea alternativa di società che poteva essere più integrata e comuni- cativa, dove lo scambio culturale sarebbe stato possibile. Il merito di questo dibattito fu quello di dipingere una visione molto chiara di quello che l’Alto Adige-Südtirol poteva essere. Mise sul piatto una prospet- tiva che l’autonomia non offriva. L’autono- mia era qualcosa di tecnico, di migliorativo per la minoranza, mentre il dibattito sul censimento poneva la domanda: quale so- cietà vogliamo avere? Questo fu capito in molti ambiti, anche se non venne recepito dalla maggioranza che decise di andare avanti sulla propria stra- da. Ma la visione culturale e politica fu per molti giovani importante -il grosso merito fu di offrire una visione attraente. Il paragone con le Opzioni del 1939… Fu un paragone molto efficace -anche se ov- viamente ingiusto ed esagerato, le Opzioni furono il risultato di due fascismi, mentre a livello formale il bilinguismo e censimen- to erano il risultato di scelte democratiche. Un dibattito però utile perché per la prima volta nel mondo in lingua tedesca e ladina si parlò diffusamente anche delle Opzioni, della storia e delle conseguenze! Fino a quel momento le Opzioni furono un evento avvolto da un muro di silenzio, le genera- zioni che avevano vissuto questa esperien- za ne parlavano soltanto di nascosto, men- tre con il paragone fra censimento e Opzio- ni il dibattito entrò nel vivo della società! Ci si chiedeva: cosa sono state le Opzioni, perché non si è mai parlato di questo trau- ma? Ma si trattava di un’esperienza che mise in evidenza il nostro rapporto con le dittature. Erano nazisti quelli che avevano optato per la Germania? Proprio Reinhold Messner in quel momento lanciò il primo sasso, dicendo nel 1981 che nessuno come i sudtirolesi aveva tradito la propria pa- tria… Messner era famoso, aveva appena completato tutti gli 8.000, le sue dichiara- zioni alimentarono la discussione. In questo senso il confronto fu utile, ha ria- perto anche ferite del passato che erano state nascoste, represse, mentre il confron- to stesso tra i due avvenimenti era larga- mente esagerato -le conseguenze erano completamente diverse! Langer fu molto abile a usare semantiche e metafore molto efficaci che facevano leva, facendo infuriare l’Obmann Silvius Magnago e tutta la Svp che consideravano Langer peggio dei fasci- sti! In questo senso il dibattito sul censimento fu anche un’anatomia della società sudtiro- lese e delle sue articolazioni etniche: anche se di apartheid non si può parlare, si veri- ficò una separazione sottile e molto effica- ce, ma soft… Poi negli anni successivi, dal 1982 in poi, quando il processo di autono- mia si arenava e la Svp aveva sempre più fretta di chiudere il Pacchetto, le norme fu- rono applicate con meno rigidità, con molta più voglia di compromesso, fino all’arrivo di Luis Durnwalder (come nuovo Obmann della Svp, NdR) e le cose sono molto cam- biate…. Hai definito il censimento come la pie- tra tombale sulle speranze di una so- cietà più integrata. Ci sono stati altri momenti chiave da allora, sia come possibilità di cambiamento sia come dibattito su quale società vogliamo? Il dibattito sul censimento del 1981 resta un momento unico e particolare nella no- stra storia. Le tematiche fondamentali che furono discusse nel censimento restano an- cora tali. Che tipo di società vogliamo, c’è un futuro per una società plurilingue e multipla? La contrapposizione etnica è sta- ta superata, viviamo nel benessere, ma do- mande importanti e problemi irrisolti re- stano, e ancora non è chiaro se vogliamo davvero una società aperta, se siamo dav- vero la piccola Europa che pensiamo di es- sere o se preferiamo rinchiuderci in noi stessi. (a cura di Simonetta Nardin) domande importanti e problemi irrisolti restano, e ancora non è chiaro se vogliamo davvero una società aperta intervista
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