A conti fatti

21 l’identità di ciascuna persona, radicata nel tipo di cultura o lingua che sceglie, abbia la possibilità di esprimersi e anche la possibi- lità di accogliere altri, di modificarsi. Quello che temo molto da un censimento con dichiarazione di appartenenza lingui- stica nominativa è che questo induce all’op- portunismo, che io considero del tutto leci- to, perché ognuno si dichiara a seconda del- le necessità che gli vengono imposte. Se il censimento obbliga a degli eroismi, siccome è bene non essere eroici, ci si sottragga da- gli eroismi come si può, facendo delle di- chiarazioni di opportunità. Allora per evi- tare questo, io credo che sia molto bene in- vece che l’Europa abbia di sé la fotografia più minuziosa e meno sgranata possibile. Quindi con tutte le dichiarazioni possibili di appartenenza linguistica, nazionale o culturale, ma numerica e non anagrafica. Perché la dichiarazione anagrafica può sempre anche essere usata pericolosamen- te. Io ho citato la mia personale vicenda, so- no successe queste cose in Europa. Sono ancora vivi quelli che ce lo ricordano. Per- ché dobbiamo pensare che mai più nessuno penserà di usare a fini persecutori degli elenchi anagrafici che sono stati raccolti ad altri fini. È meglio essere prudenti e anche un po’ sospettosi in questi campi. Quindi preferisco, insisto, una dichiarazione la più varia possibile, precisa, sofisticata, dove ciascuno possa dire appunto, un nonno pa- dovano, una nonna viennese, un padre, una madre, uno di qua e una di là, dei figli che vanno per i fatti loro e diventano quelli che vorranno diventare. Lo dico in maniera che può apparire anarchica, so che poi di fatto qui da noi risulterà che comunque ci saran- no tre gruppi storicamente più significativi che si chiamano südtiroler, però che anche noi decidiamo di darci un nome, di non chiamarci italiani, dichiarazione che io fac- cio solo quando mi trovo all’estero. Quando sono in Italia a chi mi domanda co- sa sono io dico piemontese, oppure adesso dico bolzanina. Bisognerà che noi di lingua italiana decidiamo di darci un nome locale. Possiamo diventare altoatesine o sudtiro- lesi. Forse potremo per il 2001 avere pronta qualche cosa che non sarà soltanto una pic- cola ricetta su come dichiararsi, ma forse anche l’inizio di una cultura che rispetti poi il fatto che questa terra è stata sempre una terra di incontri, qualche volta di scontri. Noi abbiamo dietro le spalle una storia vio- lenta di reciproche sopraffazioni, una storia spesso carica di simboli militari. Non si può cancellarla, però è possibile gestirla come un conflitto nonviolento. E un conflitto non- violento ha bisogno di dichiarazioni che possano essere fatte in piena libertà, senza che nessuna persona pensi di dover subire degli svantaggi per il fatto che si dichiari in un modo o in un altro. Se vogliamo che ci sia una leale fedeltà alla propria identità scelta, bisogna che queste condizioni di li- bertà siano garantite e stabilite. Gli stru- menti giuridici poi si possono trovare. Concludo ripetendo che, a mio parere, quel- li che abbiamo fotografano una realtà più rigida e meno vitale di quella che già inco- minciamo a intravvedere. E allora mi sem- brerebbe interessante che, sospendendo per un momento ulteriori bizantinismi giu- ridici, dessimo espressione politica e cultu- rale alle nostre caratteristiche e poi chie- dessimo ai giudici di darle formalità. Lidia Brisca Menapace Proporzionale e bilinguismo Il censimento in Alto Adige-Südtirol, ovvero di come la scelta di un mezzo sbagliato conduca a risultati negativi; la necessità di ricercare meccanismi per garantire il bilinguismo in una società più aperta... Reprint di un intervento di Renato Ballardini. Renato Ballardini è avvocato e politico so- cialista trentino, già Presidente della “Com- missione Affari Costituzionali” della Came- ra dei Deputati, autorevole Componente della “Commissione dei Diciannove”, della “Commissione dei Dodici”, Parlamentare europeo e Consigliere regionale. Incomincio chiedendo a voi tutti di perdo- narmi per la modestia del contributo che potrò portare, perché questa mattina ho ascoltato interventi di grandissimo interes- se, durante i quali ho appreso moltissime notizie e moltissime opinioni che considero per me assai preziose. La modestia del mio contributo è dovuta al fatto che io fra tutti coloro che sono intervenuti, sono, credo, l’unico esterno, perché non sono sudtirolese, non sono un italiano che vive in Alto Adige, non sono ladino. Però posso dire forse qualcosa di interes- sante, perché ci fu un tempo in cui mi oc- cupai intensamente del problema dell’Alto Adige, quando, appunto, ero deputato alla Camera e rappresentavo anche le popola- zioni di questa provincia. Il mio contributo avrà più un carattere di- rei retrospettivo che di immediata attuali- tà, anche se farò uno sforzo per cercare di portare a frutto le cose interessanti che ho saputo oggi, correlate con le opinioni, con le esperienze che ho avuto nel passato. Credo che questa vicenda che ha portato al censimento linguistico costituisca un caso esemplare di vera e propria aberrazione. In- tendo questo termine nel suo significato let- terale, cioè come deviazione di un processo che, originato da una motivazione positiva, nel corso del suo sviluppo, a causa della scelta di un mezzo sbagliato, perviene a un risultato negativo, appunto aberrante. E in- fatti, sicuramente condivisibile è la diretti- va contenuta nell’accordo Degasperi-Gru- l’inizio di una cultura che rispetti poi il fatto che questa terra è stata sempre una terra di incontri, qualche volta di scontri credo che questa vicenda che ha portato al censimento linguistico costituisca un caso esemplare di vera e propria aberrazione reprint Niccolò Caranti

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