A conti fatti
me ci sono infiniti casi della vita, perché si tratta di accertare non la finzione ma la realtà. Di conseguenza le liste chiuse sono sempre scoraggiate. La seconda co- sa prevista negli standard internazionali è la libertà di scelta senza che da questa derivino conseguenze negative. Su questi due aspetti la nostra dichiarazione di ap- partenenza è un po’ lacunosa, anche se, primo, viene cronologicamente prima de- gli standard internazionali che sono tutti stati sviluppati dopo il 1989 e non si può far troppo una colpa al nostro legislatore per non aver previsto problemi che anco- ra non si ponevano; secondo, la nostra di- chiarazione è molto cambiata nel tempo e non è certamente più quella del 1976- 1981, visti gli adeguamenti che nel frat- tempo sono intervenuti. Resta comunque il problema principale delle liste chiuse. Gli standard internazionali cui si fa rife- rimento sono essenzialmente la Conven- zione Quadro del Consiglio d’Europa per la tutela delle minoranze nazionali, che si occupa specificamente di questo, più tutti i commentari esplicativi molto det- tagliati su questo punto, e la Conferenza degli statistici europei della commissione economica Onu per l’Europa, che a ogni censimento elabora dei criteri di analisi statistica (gli ultimi nel 2020 in vista del censimento 2021 e precedentemente nel 2010 per il 2011). Vi sono poi i documenti di soft law come i commentari tematici alla Convenzione Quadro e le Raccoman- dazioni dell’Alto Commissario Osce per le Minoranze e la soft jurisprudence del Comitato dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Su che cosa ha lavorato il diritto in- ternazionale rispetto alle problema- tiche che derivano da rilevazioni censuarie che interessano le mino- ranze? Ha lavorato essenzialmente sull’idea, molto difficile da far capire in certi stati, che l’identità è una scelta e non qualcosa di biologicamente predeterminato, e che, quindi, servono categorie aperte e ognu- no ha il diritto di professare l’identità che vuole. Questo è il punto centrale, da cui discende però un tema molto importante che è l’idea stessa che si ha delle mino- ranze. Sono gruppi omogenei che si con- trappongono ad altri gruppi omogenei in una logica westfaliana di scontro e di do- minio? Oppure sono forme di pluralismo che permeano la società e che vanno tu- telate per ciò che hanno da dare e per i valori di cui sono portatrici all’interno della società? In altre parole, le persone non sono caratterizzate solo dall’appar- tenere a una minoranza e questo criterio non può essere totalizzante in tutti gli ambiti della vita. Ma questo approccio ormai condiviso a livello internazionale è ancora osteggiato in qualche stato. In alcuni contesti prevale l’idea che, ad esempio, un Rom è sempre e solo un Rom e va sempre considerato tale, e lo stato decide che Rom significa nomade anche se non è più così da tempo, che chi è Rom voglia un determinato stile di vita, che voglia suonare, ecc... Insomma, un’idea stereotipata dell’identità collettiva, da cui derivano conseguenze giuridiche si- gnificative. L’evoluzione normativa che si è pro- dotta a partire dagli standard inter- nazionali che riflesso ha avuto nei confronti del funzionamento del si- stema di rilevazione censuaria dell’Alto Adige-Südtirol e dell’ag- gancio alla proporzionale così come era stato concepito? Direi che ha inciso molto. È stato grazie agli organismi internazionali cui prima si faceva cenno e a cui aggiungiamo l’Unione Europea, che si sono imposte delle modifiche al nostro sistema. Cito anche l’Unione Europea perché esistono dei collegamenti con il godimento delle li- bertà fondamentali previste dai trattati, che non nascono con l’idea di tutelare le minoranze ma hanno delle ripercussioni su questo. In Alto Adige-Südtirol non sia- mo ancora allineati al cento per cento con gli standard internazionali, ma in buona parte sì. Si pensi alla possibilità di ren- dere dichiarazioni da parte dei cittadini europei e assimilati introdotta nel 2015. È un passaggio che fa saltare completa- mente l’idea deterministica e biologica di appartenenza a un gruppo che c’era al- l’inizio negli anni Settanta, quando il si- stema era stato previsto. A proposito della rilevazione di dati relativi a una appartenenza nazio- nale, di genere o altro, il problema della tutela della privacy, della tute- la dei dati sensibili come viene nor- mato? E noi in Alto Adige-Südtirol a che punto siamo? La questione si pone soltanto quando ri- guarda il singolo individuo, non quando riguarda la statistica. Questo già toglie gran parte del problema perché la mag- gior parte delle rilevazioni sono a puri fi- ni statistici. Tu dichiari quello che vuoi, la dichiarazione non si collega mai con il tuo nome e serve soltanto per avere una fotografia della società. Il problema si po- ne invece quando la dichiarazione è col- legata al godimento di determinati dirit- ti. Penso soprattutto alla materia eletto- rale dove ci sono stati casi, per esempio in Ungheria dove la prima formulazione della legge aveva previsto che ognuno di- chiarasse liberamente quello che voleva. Succedeva che il sistema veniva abusato da parte di chi alla minoranza non ap- parteneva, per avere una carriera politi- ca più facile perché era più semplice es- sere eletti nelle liste di minoranza che nelle liste di maggioranza. Ciò ha portato a modificare la legge e sostanzialmente a consentire che si sapesse che Tizio ap- partiene a quella minoranza perché si candida in quella lista, ma assicurando che questa fosse una scelta libera. Ciono- nostante il problema di rendere noti dati che ti riguardano rimane. Se si fa consa- pevolmente, in piena coscienza e nessuno lo impone, tutto va bene. Ma ci sono sem- pre rischi collegati alla violazione di dati sensibili. Per cui servono regole che im- pongano la minore limitazione possibile di altri diritti, tra cui la riservatezza. Ad esempio, se la scelta si deve fare a un unico fine, come per candidare in una li- sta, è meno problematico rispetto a una dichiarazione generale che vale in ogni ambito ed è difficilmente modificabile. In Belgio, per esempio, una volta che sei eletto tu fai il giuramento al momento dell’insediamento in una lingua o nell’al- tra. Questo ti colloca automaticamente nel gruppo. Si fa, se la vogliamo vedere così, una sorta di dichiarazione verbale ad hoc. In quel momento si rende nota una tua opzione, però lo hai fatto per una finalità specifica, non lo hai fatto in ge- nerale. Per salvaguardare il diritto di ri- servatezza occorrerebbe ridurre al mini- mo le circostanze in cui la dichiarazione ha effetti totalizzanti. Se si fa ad hoc per singole attività la cosa è meno problema- tica, perché non significa dichiarare la propria identità tout court . Tornando al sistema di rilevazione censuaria e dichiarazione di appar- tenenza che contraddistingue l’Alto Adige-Südtirol, ci sono stati molti cambiamenti. Come valutarli? Ab- biamo fatto dei passi in avanti, se ne possono fare altri? Che significato hanno avuto, anche rispetto allo spi- rito con cui era nato il nostro censi- mento, di rafforzamento e divisione molto chiara tra i gruppi linguistici? Passi in avanti se ne sono fatti tanti, mol- tissimi direi. Dal punto di vista normati- vo il sistema è quasi ribaltato. Oggi l’idea di fondo è quella per cui il sistema è fatto così, manteniamo la dichiarazione come base della spartizione della torta ma non è più possibile collegarla -così come si pensava in origine- all’identità reale. Ma- gari non lo si dice, ma normativamente è così e non può che essere così, e infatti il sistema complessivamente regge. Cos’altro si può fare? Si potrebbe modifi- care l’intero sistema che regola la convi- venza e non basarlo più su proporzionale 25 l’identità è una questione personale che non può certo esaurirsi nelle tre categorie previste il problema si pone quando la dichiarazione è collegata al godimento di determinati diritti intervista
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