A conti fatti

26 e censimento, ma mi pare una soluzione non voluta e nemmeno auspicabile, per- ché provocherebbe un terremoto, oltre- tutto inutile visto che nel complesso il modello funziona. Oppure si continua nella direzione tenuta fino a oggi -che se vogliamo da un certo punto di vista è un po’ ipocrita ma ha i suoi vantaggi- di un annacquamento progressivo dell’idea di separazione che c’era all’inizio ma senza minare le fondamenta del sistema stesso. A mio avviso il momento cruciale, la svol- ta definitiva dopo diversi passaggi fatti soprattuto nel 1991 e nel 2005, è stata l’estensione della dichiarazione di appar- tenenza ai cittadini europei e assimilati nel 2015. Nessuno più può legittimamen- te pensare che tale dichiarazione a uno dei tre gruppi linguistici sia, mi si perdo- ni il gioco di parole, la dichiarazione di appartenenza a uno dei tre gruppi lingui- stici. Cioè sia espressione di una “verità”. Può esserlo, ma giuridicamente non rile- va, perché l’identità è una questione per- sonale che non può certo esaurirsi nelle tre categorie previste, e perché ciò che conta è un riferimento formale (la consi- stenza dei gruppi e la dichiarazione indi- viduale) a cui ancorare la distribuzione delle risorse e su cui basare l’incasella- mento di ciascuno nei casi in cui è neces- sario. Quest’anno non avremo il Censi- mento generale della popolazione così come lo abbiamo conosciuto dieci anni fa. Nel 2018 è entrata in vigore una norma che prevede un censimento annuale e a campione. Questo costringe anche il nostro si- stema ad adeguarsi, tanto che si pre- vede l’elaborazione da parte della Commissione dei 6 di una nuova norma di attuazione. Sul censimento la nuova norma di attua- zione interviene sul piano di un adegua- mento strettamente tecnico. Ci sarà la possibilità di dichiarazioni online che è un passaggio estremamente interessan- te. Non mi intendo di sicurezza informa- tica ma, ammesso che ci siano strumenti per garantirla in modo sufficiente, è cer- tamente un passo in avanti dal punto di vista della riservatezza. In discussione c’è anche una seconda norma che riguar- da gli esami nelle diverse lingue. Al mo- mento ci si può dichiarare appartenenti a un gruppo e sostenere l’esame nella lin- gua diversa, il che giuridicamente è inap- puntabile, ma ha sempre creato dei ma- lumori, perché si ritiene che questa di- chiarazione di appartenenza sia veritie- ra. Se ora si passerà, come pare si inten- da fare, allo svolgimento delle prove co- munque in entrambe le lingue, lo possia- mo considerare da un lato un modo per “smascherare i furbi” -lo vede così chi considera il censimento la proiezione di una identità unica e immutabile- dall’al- tro un attenuamento dell’importanza del censimento. A quel punto infatti la cono- scenza linguistica avrà un peso maggiore di adesso nell’accesso ai posti pubblici, il che mi pare positivo in un contesto real- mente bilingue. Abbiamo affrontato prima il discor- so degli standard internazionali: tu come vedi evolversi l’Europa e la di- rezione della giurisprudenza rispet- to a queste problematiche? Un po’ dipende dai contesti, però tenden- zialmente si nota una radicalizzazione. Mentre noi in Alto Adige-Südtirol evol- viamo verso un’attenuazione della situa- zione radicale di partenza, in molte altre aree il processo è inverso. Si partiva da formule più soft e si sta andando verso un irrigidimento, perché cresce un’oppo- sizione all’idea del pluralismo delle socie- tà (Ungheria, Polonia…) e perché ci sono contrasti crescenti tra i gruppi, anche quando non sono identificabili su base censuaria. Faccio l’esempio dell’Ucraina con la minoranza russa, dove non c’è nul- la di etnico in verità. È una questione di affiliazione linguistica, che in buona par- te è una scelta delle persone e di identi- ficazione politica. Tu puoi essere etnica- mente ucraino e parlare il russo. Ma se parli il russo vuol dire che tendenzial- mente sei filo-russo, se parli l’ucraino vieni inquadrato come pro-europeo. La contrapposizione sta crescendo forte- mente e spesso ci sono risposte legislati- ve che tendono ad accentuare il divario. Penso alla normativa ucraina sull’uso della lingua, che è diventata una delle bandiere della radicalizzazione e del ri- fiuto della convivenza pacifica tra grup- pi. Questo prescinde dai censimenti, da- gli standard internazionali e riguarda quasi tutti i paesi in cui esiste una più o meno consistente minoranza russa o rus- sofona, perché la Russia gioca un ruolo molto ingombrante sul piano geopolitico. Ma potremmo fare anche l’esempio del Kosovo dove, nonostante ci sia un dialogo che va avanti con dei progressi, permane la divisione netta e dunque la contrappo- sizione tra le comunità. Ciò che invece gli standard internaziona- li cercano di proporre, anche in materia di censimenti, è la possibilità delle zone grigie che devono essere riconosciute e accettate, perché riflettono la realtà so- ciale e spesso necessitano di tutela dal punto di vista normativo. Zone grigie la cui funzione può essere quella di assicu- rare equilibrio e permeabilità tra le par- ti, nonché un arricchimento reciproco. L’idea di base è che il pluralismo cultu- rale, etnico, linguistico non è una minac- cia ma un arricchimento per la società, quindi bisogna riconoscere le minoranze, consentire loro di svilupparsi e non di re- stare surgelate nell’idea stereotipata che ne hanno le maggioranze come di gente in costume che balla felice o, peggio, co- me minacce ai valori della società o quin- te colonne di stati stranieri. Purtroppo questa visione è ancora molto diffusa in Europa e nel mondo e va aumentando, non diminuendo. Nonostante singoli mi- glioramenti a livello normativo, il clima complessivo è di rifiuto della diversità. Gli standard internazionali sono andati velocemente sviluppandosi nel corso di due decenni, anni Novanta e Duemila. Ma nell’ultimo decennio questo processo è rallentato parecchio perché c’è una cre- scente resistenza e a un ritorno all’idea di bianco o nero. C’è un aumento delle spinte secessionistiche. Il caso della Ca- talogna è emblematico per la presenza di un’identità fluida che c’è sempre stata, in cui c’era un arricchimento reciproco, poi, a causa di una radicalizzazione delle po- sizioni politiche adesso è diventato pra- ticamente impossibile concepire che uno possa essere catalano, spagnolo ed euro- peo nello stesso tempo. Questa è una ten- denza abbastanza generale, che va ben oltre la questione delle minoranze. Non dobbiamo dimenticare inoltre che il dibattito attorno a questi temi è mediato dalla questione migratoria, per cui trat- tare le diversità, che non siano quelle che abbiamo deciso noi di accettare, non va bene perché rischia di mettere in discus- sione l’identità della nazione dominante, che viene vista come qualcosa di eterno e immutabile. In Ungheria, ad esempio, c’è addirittura in costituzione un forte ed esclusivo richiamo all’identità della na- zione ungherese e il riconoscimento delle minoranze nazionali “che vivono con noi”. Il che significa che decidiamo noi quali minoranze accettare e come, pur- ché siano bianche, cristiane, ecc... L’idea che sta alla base della società che si nu- tre delle diversità e che cambia grazie al- le diversità viene disattesa, rifiutata. Le minoranze, in sostanza, non vengono considerate parte integrante della socie- tà ma qualcosa di, al massimo, tollerato, o altrimenti rifiutato, per decisione della maggioranza. Il percorso è ancora lungo, ma le società, come le identità, cambiano sempre, e continueranno a farlo. (a cura di Giorgio Mezzalira) mentre noi evolviamo verso un’attenuazione della situazione radicale di partenza, in molte altre aree il processo è inverso l’idea che sta alla base della società che si nutre delle diversità e che cambia grazie alle diversità viene disattesa, rifiutata intervista

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==