A conti fatti
27 Ambarabà ciccì coccò, tre civette sul co- mò. Una, quella serba, è cristiana orto- dossa, parla una lingua che definisce “serbo” (ma che un tempo definiva serbo- croato), chiama il pane “hleb” e non “kruh”, usa lo spelling “kafa” per la pa- rola “caffé” ed è abituata a scrivere per- lopiù in cirillico. La seconda, quella croa- ta, è cristiana cattolica, parla una lingua che definisce “croato” ( ma che un tempo definiva serbo-croato), chiama il pane “kruh” e non “hleb”, usa lo spelling “ka- va” per la parola “caffé” e scrive solo in caratteri latini. La terza civetta, quella bosgnacca, è musulmana, parla una lin- gua che definisce “bosniaco” (ma che un tempo definiva anche serbo-croato), chia- ma il pane “hljeb” (ma anche “kruh”), usa lo spelling “kahva” per la parola “caffè” e scrive in caratteri latini. Ma la complessa gestione del comò bo- sniaco, e cioè della struttura politica del- lo stato che si chiama Bosnia Erzegovina, non si organizza attraverso una conta- sorteggio effettuato attraverso una fila- strocca, ma grazie a un sistema di pesi e contrappesi che cercano di bilanciare i rapporti tra quelle comunità etnico-reli- giose che negli anni Novanta si sono scontrate con le armi. Anche questo si- stema ponderato deve comunque basarsi su una “conta” seppure di altro tipo, e cioè su un censimento che stabilisca quanti sono gli appartenenti alle diverse comunità, in quali località vivono e in che percentuale. Ma quando ci si avvicina al momento del censimento, nei Balcani si assiste a un’improvvisa “numerofobia”, fatta di polemiche preventive, boicottag- gi, rimandi nell’avvio delle operazioni e impaludamento dei conteggi in prossimi- tà della data prevista per la pubblicazio- ne dei risultati. In quell’area dell’Europa si percepisce con particolare intensità la diffidenza nei confronti dei censimenti proprio negli an- ni che finiscono con il numero uno. Infat- ti, gli ultimi censimenti jugoslavi si ten- nero nel 1961, nel 1971, nel 1981 e infine nel 1991, proprio nell’anno in cui la Slo- venia e poi la Croazia ruppero le righe, dichiarando l’indipendenza e innescando il fuggi fuggi che sbriciolò la Repubblica federale socialista jugoslava, rimasta or- mai orfana del suo creatore Tito, che nel mondo aveva capeggiato i “Non allinea- ti”, ma in patria aveva invece ogni volta fatto riallineare di corsa -nel caso, anche con modi molto spicci- gli eventuali se- cessionisti. Per mantenere una periodicità decenna- le, alcuni dei paesi che sono nati dalla di- sgregazione jugoslava hanno quindi te- nuto i loro censimenti nel 2001 o nel 2011, o almeno hanno tentato di farlo. E anche in questo 2021 un censimento è in corso in Macedonia del nord, un altro è appena iniziato in Croazia e un altro an- cora si farà (pare) in Montenegro. In Serbia e in Kosovo, invece, dove pure il censimento avrebbe dovuto svolgersi quest’anno, si è deciso di rimandare al 2022. Il motivo del rinvio è la pandemia, ma la realtà è che il censimento in quella regione è sempre molto delicato. Per comprendere la ragione di tanta ne- vrosi connessa all’ipotesi di scattare una fotografia di gruppo ai cittadini di un paese basta guardare al Libano che, co- me la Bosnia, è uno stato “etnocratico”, e cioè basato su una divisione per nulla flessibile del potere tra le varie comuni- tà. A Beirut il presidente della Repubbli- ca deve essere cristiano maronita, il pre- mier deve essere musulmano sunnita, lo speaker del Parlamento deve essere mu- sulmano sciita, eccetera. E anche la ri- partizione dei seggi in Parlamento è cal- colata in proporzione al peso numerico di ciascun gruppo etnico-religioso. In Libano la rilevazione demografica che sta alla base di questo sistema è il recen- tissimo censimento del 1932 e nessuno si sognerebbe di andare a verificare se per caso, negli ultimi 89 anni, non sia nel frattempo cambiato un qualcosina (e di verificare, per esempio, se i cristiani ma- roniti siano ancora la comunità più nu- merosa del Libano o se gli sciiti non ab- biano recuperato un po’ di distacco dai sunniti). La cautela è comprensibile, vi- sto che l’eventuale scoperta di una qual- che alterazione rispetto allo status quo del 1932 avrebbe conseguenze che si pos- sono riassumere in tre lettere maiuscole e un punto esclamativo: BUM! Ora, come sempre, il Libano non ha pro- prio bisogno di funzionari che, fisicamen- te o virtualmente, girino casa per casa con una cartellina piena di questionari e un sacco di domande sul “chi siete?” e “quanti siete?”: questi funzionari infatti diventerebbero degli involontari agenti del caos nel momento in cui, sommando le crocette dei loro questionari, i risultati si rivelassero discordanti da quelli di un secolo fa. Torniamo ora in Bosnia. Lì, per motivi analoghi a quelli libanesi, c’è ad esempio una triplicazione della presidenza della Repubblica: ogni quattro anni nel paese balcanico viene eletto un collegio formato da tre presidenti (uno serbo, uno croato e uno bosgnacco) che si girano la carica di primus inter pares ogni otto mesi, in modo che ciascuno dei tre ricopra per due volte la carica di “presidente dei presi- denti” nel corso del mandato. Peraltro, già tanti anni fa, due cittadini bosniaci, il rom Dervo Sejdic e l’ebreo Jakob Finci, ricorsero ai tribunali internazionali di- cendo: “Ma come? Noi siamo forse citta- dini di serie B visto che non possiamo di- ventare presidenti del nostro paese per il solo fatto di non appartenere né alla co- munità serba, né a quella croata né a quella bosgnacco-musulmana?”. Già nel 2009 la Corte europea dei diritti umani decretò che Sejdic e Finci avevano ragio- ne. Ma a Sarajevo, senza troppa concita- zione, stanno ancora capendo come rece- pire questa sentenza. D’altronde, non serve andare fino in Bo- snia. Nel 1995, a Bolzano, fu respinta la candidatura a sindaco dell’indimenticato e indimenticabile Alexander Langer, per- ché in occasione del censimento del 1991 Quanto fa paura contarsi Nei Balcani c’è una grande diffidenza verso i censimenti perché possono cambiare gli equilibri delicati della convivenza tra i diversi gruppi etnici e i loro diritti. La nevrosi delle “etnocrazie” e il terrore per i numeri. Articolo di Guido De Franceschi da “Il Foglio”, 16 settembre 2021. in Libano la rilevazione demografica che sta alla base di questo sistema è il recentissimo censimento del 1932 la Bosnia nel 2013 è riuscita a condurre un censimento, contestato già in corso d’opera, da alcuni leader serbo-bosniaci reprint
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