A conti fatti

tà). Se, in seguito, la quota scende sotto il 6%, lo status di comune bilingue deca- de. Ma a Vukovar, città appartenente al- la Croazia e collocata sul confine con la Serbia, lo strascico degli orrori bellici im- pedisce il rispetto delle quote stabilite per legge. Quando il censimento del 2011 rivelò che la quota di serbi residenti a Vukovar aveva superato la soglia di un terzo salendo fino al 34,8%, si sarebbero dovute installare automaticamente le targhe in cirillico con il nome delle stra- de. Ma si scatenarono tali e tanti disor- dini che la questione non ha ancora tro- vato una vera soluzione (e le scritte in ci- rillico ancora non ci sono). Che cosa suc- cederebbe se il censimento in corso rive- lasse che nel frattempo la percentuale della comunità serba a Vukovar è cre- sciuta ulteriormente? Intanto, come segnala Giovanni Vale su “Osservatorio Balcani e Caucaso”, a Fiu- me e in altre città croate sono comparsi dei poster, firmati da una misteriosa “As- sociazione croata dei veterani di guerra ortodossi”, che invitano i serbi di Croazia a dichiararsi al censimento come “croati ortodossi”. Da parte loro, molti leader po- litici serbi invitano invece i serbi di Croa- zia a partecipare al censimento indetto da Zagabria segnalandosi proprio come “serbi”, per far sentire il loro peso e far quindi valere i conseguenti diritti. Ma, nel caso del censimento in Kosovo del 2011, quegli stessi leader politici serbi convinsero invece quasi tutti gli apparte- nenti alla minoranza serba del Kosovo a boicottare la raccolta dei dati da parte del governo di uno stato, il Kosovo ap- punto, di cui il governo di Belgrado non riconosce l’esistenza (e così si ignora qua- le sia la reale consistenza della minoran- za serba in quel paese). Allo stesso modo, peraltro, molti dei cittadini della Serbia che appartengono alla comunità bosgnac- co-musulmana e a quella albanese si sot- trassero a loro volta alle rilevazioni in oc- casione del censimento indetto da Bel- grado sempre nel 2011. Chissà quindi che cosa avverrà nei censimenti serbo e kosovaro del prossimo anno. Le leggi slovene, al di là dei numeri e del- le percentuali, prevedono comunque due seggi in Parlamento per le minoranze linguistiche: uno per la comunità unghe- rese e uno per la comunità italiana, men- tre nessun seggio, curiosamente ma non troppo, è destinato alle molto più consi- stenti minoranze serba, croata e bo- sgnacca. La Macedonia del Nord, come la Croazia, fonda invece il suo sistema su base nu- merica: la soglia perché scattino local- mente e a livello nazionale alcuni diritti per le minoranze è posta al 20%. Secondo il censimento del 2002 (l’ultimo disponi- bile, dal momento che quello del 2011 abortì in corso d’opera e i dati non ven- nero mai processati), gli albanesi, che so- no la minoranza più numerosa e con cui la maggioranza macedone ha avuto più frizioni negli ultimi decenni, sono il 25,2% della popolazione complessiva del paese. Al censimento ora in corso in Macedonia del Nord si intrecciano anche altri feno- meni comuni ad altri paesi della ex Ju- goslavia. Ad esempio il depopolamento, che potrebbe riservare sorprese sgrade- voli quanto al numero complessivo degli abitanti e che potrebbe contribuire a sbi- lanciare le proporzioni tra le diverse co- munità. Oppure la crescente diffusione dei doppi passaporti, che può alterare i numeri reali. Secondo alcuni analisti, la Bulgaria, che da ultimo ha sostituito la Grecia nel ruo- lo di nemico numero uno della Macedo- nia del Nord, sta “spingendo” perché mol- ti cittadini macedoni si registrino come appartenenti alla pressoché inesistente minoranza bulgara, ingolositi dalla pos- sibilità di poter poi far richiesta anche di un passaporto bulgaro, e cioè di un paese che fa parte dell’Unione europea. Mentre altre minoranze di fede musulmana pre- senti in Macedonia del Nord, come quella turca, temono che l’insistenza sulla regi- strazione etnica finisca per avvantaggia- re i tentativi di “albanizzazione” di tutti gli altri islamici che vivono nel paese bal- canico. E il Montenegro? Pare che anche lì, con- trariamente alle aspettative, si svolgerà un censimento entro la fine dell’anno. A Podgorica, peraltro, per quanto riguarda lo scontro tra chi si sente montenegrino e chi si sente serbo-montenegrino, si sono già portati avanti. Questa divisione è già stata uno dei temi centrali su cui si sono giocate le elezioni del 2020 e nelle ultime settimane ha incendiato una bega nata dall’insediamento nella città montenegri- na di Cetinije del nuovo metropolita Joa- nikije, scelto dalla Chiesa ortodossa ser- ba. Un atto, questo, che non è piaciuto ai fedeli che si riconoscono nella Chiesa or- todossa montenegrina, che è nata nel 1993 e che non è per ora riconosciuta da nessuna altra Chiesa all’interno di un mondo, quello ortodosso, che è più incline al frazionismo dei gruppi marxisti-lenini- sti del Politecnico di Atene e in cui, non per nulla, va per la maggiore da molti se- coli la parola “autocefalo”. Ma partiamo da dati “certi”. Nell’ultimo censimento montenegrino, quello del 2011, quanti cittadini si sono definiti di etnia montenegrina? Il 45% (i serbi erano il 28,7%). E quanti cittadini montenegri- ni hanno dichiarato che la loro prima lin- gua è il montenegrino? Poco meno del 40%, mentre quasi il 43% ha indicato il serbo come suo idioma materno. Si capi- sce bene, quindi, perché si possa essere curiosi dell’esito del censimento, se ci sa- rà, in un paese in cui la maggioranza è, di fatto, una minoranza. Guido De Franceschi nell’ultimo censimento montenegrino, quello del 2011, quanti cittadini si sono definiti di etnia montenegrina? Il 45% reprint 29

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