A conti fatti

Guido Denicolò è avvocato dello Stato dal 1987. Attivo nel Pci-Kpi fino al 1983, nel- l’associazione degli studenti universitari sudtirolesi e nel movimento per la conviven- za interetnica in Sudtirolo, nel 2001 con l’associazione “Convivia” partecipa alla battaglia contro il censimento etnico e per la scuola bilingue. Partiamo dal Censimento 1981 in Alto Adige/Südtirol. Quali novità ha intro- dotto, a che cosa doveva servire? Quello del 1981 è stato il primo censimento successivo al decreto sulla proporzionale del 1976. Praticamente, l’assetto della c. d. proporzionale etnica e il censimento che ab- biamo conosciuto in Alto Adige-Südtirol fi- no a oggi, nasce con quel famoso “Proporz- Dekret” -Dpr n. 752/1976, per essere preci- si- che ha definito la proporzionale e i suoi campi di applicazione. Si trattava tuttavia di definire anche il modo in cui applicarla, poiché una volta deciso che l’assegnazione di determinate risorse nel pubblico impie- go, nella politica sociale, nella distribuzione dei vari benefici e sussidi sociali, deve av- venire in rapporto alla consistenza dei tre gruppi linguistici, devi altresì definire, sul piano applicativo, come far rientrare il sin- golo beneficiario, individualmente, in una di queste categorie. Era quindi necessario, al di là della definizione della proporzionale e dei suoi ambiti di applicazione, individua- re un sistema di collegamento del singolo individuo a ciascun gruppo, a ciascuna ca- sella etnica. Si trovò un sistema a prima vi- sta semplicissimo. In occasione del classico censimento gene- rale della popolazione (che avveniva ogni dieci anni e che richiedeva un’organizzazio- ne complessa per la distribuzione di moduli casa per casa, di appositi rilevatori che con- segnano e ritirano i plichi statistici che ogni nucleo familiare doveva compilare) si decise di abbinare a questa operazione sta- tistica nazionale un’ulteriore modulistica esclusivamente sudtirolese: la cosiddetta dichiarazione di appartenenza linguistica. Era fatta di tre fogli legati tra loro, di cui uno con la firma e due anonimi. La parte anonima serviva a fini statistici, ossia a stabilire il numero di tedeschi, italiani e la- dini e quindi a calcolare le percentuali della proporzionale. Quello individuale e nomi- nativo, appositamente firmato, costituiva invece la dichiarazione di appartenenza del singolo a uno dei tre gruppi. Era quindi prevista un’unica dichiarazione a fini sta- tistici e ai fini individuali-nominativi. Que- st’ultima veniva posta in una busta chiusa e consegnata al rilevatore quando veniva a ritirare i documenti del censimento gene- rale: poi il modulo anonimo veniva conse- gnato all’Istituzione statistica, mentre l’al- tro modulo andava consegnato in tribunale, dove venivano raccolte tutte le buste nomi- native, che ammontavano a centinaia di migliaia. Il problema di questo sistema molto sem- plice -ma anche molto rozzo- nasceva dalla circostanza che esso considerava solo tre opzioni secche ed esclusive: appartenenza al gruppo tedesco, italiano o ladino. Esso non teneva conto, quindi, delle situazioni intermedie oppure di quelle che si colloca- vano completamente al fuori di questo schema. V’erano, insomma, persone, come i cosiddetti mistilingui, che venivano da fa- miglie “miste” tra tedeschi, italiani, ladini oppure qualche altra nazionalità (slovena, spagnola, francese, ecc.), ma esistevano an- che cittadini italiani residenti nella provin- cia di Bolzano che risultavano completa- mente eccentrici rispetto a questo meccani- smo in quanto “appartenevano” ad altre nazionalità. Queste persone non erano mi- nimamente considerate e avevano pratica- mente la sola scelta di non rendere alcuna dichiarazione, con gravi conseguenze su al- cuni diritti politici e sociali, o di aderire for- zatamente a uno dei tre gruppi ammessi. Per i mistilingui ciò era considerato, so- stanzialmente, una violenza culturale che li costringeva a scegliere, in pratica, tra il padre e la madre, tra la cultura dell’uno o dell’altra, quando invece essi si riconosce- vano in entrambe. Agli altri (ad esempio di lingua slovena, francese, ecc.) il sistema di rilevazione chiedeva addirittura una di- chiarazione falsa. Per riassumere, il censi- mento del 1981 provocava questi problemi di tipo semplicemente “oggettivo”, ma su- scitava anche un più generale problema culturale di fondo, rispetto al quale era par- ticolarmente sensibile Alexander Langer. Ora, al di là della inconciliabilità oggettiva di quel sistema di rilevazione etnica con un pezzo di realtà sudtirolese, pur chiaramen- te minoritario sia numericamente che poli- ticamente, per Langer era inaccettabile lo stesso principio che vi stava alla base, ossia la necessità di “intrupparsi” in uno degli accampamenti etnici nell’ambito di una operazione di massa e a tappeto qual era il censimento. Tale era infatti la caratteristi- ca di questo tipo di rilevazione, accompa- gnata da ampie e battenti campagne di co- municazione istituzionale e di propaganda politica volte a spingere le persone a parte- cipare. Non mancava, da parte delle forze politiche tedesche, italiane e ladine, una vera e propria “chiamata alle armi”, so- stanzialmente sul tema che “è importante che tutti vadano a dichiararsi perché ne va del pezzo di torta che avremo come gruppo e quindi come singoli”. Insomma: un vero e proprio appello a distinguersi e a separarsi, che a ben guardare si poneva in contrasto con lo spirito di fondo dell’autonomia che, sia pure con qualche contraddizione come la scuola, voleva comunque avvicinare le diverse comunità linguistiche, favorendo l’incontro e la distensione. Alexander Langer definì questo sistema del 1981, efficacemente, come quello delle “gabbie etniche”, espressione della volontà di cristallizzare la separazione tra i gruppi linguistici. L’alternativa, in quel momento, consisteva nel restarne completamente fuori ma per- dere i diritti, ad esempio, nel campo del pubblico impiego, della distribuzione delle risorse sociali, dell’accesso alle case popo- lari e ai sussidi, nel vedere pregiudicato il diritto di elettorato passivo e quindi di par- tecipare alla vita democratica locale. In- somma, accettare o non accettare le condi- zioni di questo sistema comportava conse- guenze personali notevoli. Nacque da que- sta distorsione il movimento contro le “gab- bie etniche”, un fronte di mobilitazione po- litico-sociale-culturale, ma che agì anche sul piano giuridico, mettendone in discus- sione l’adeguatezza e la legittimità. Il cen- simento del 1981 si svolse alla fine secondo il copione prefissato, ma esso aveva comun- que rivelato i suoi punti di debolezza. Per evitare il rischio di una mancata tenuta del sistema nel tempo, le forze politiche domi- nanti trovarono una soluzione, abbastanza 6 “è importante che tutti vadano a dichiararsi perché ne va del pezzo di torta che avremo come gruppo” Censimento 1981-2021: accanimento normativo? Dal censimento “nominativo”, reso obbligatorio per beneficiare dei diritti concessi sulla base della proporzionale, agli aggiustamenti, sul piano giuridico, per superare le criticità del sistema del censimento legato alla dichiarazione di appartenenza etnica. Una serrata e puntuale disamina critica dell’evoluzione della normativa. Intervista a Guido Denicolò. intervista

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