A conti fatti
semplice, che -bisogna riconoscerlo- rag- giunse il suo obiettivo immediato: quello di “sgonfiare” la pressione generata dal cen- simento del 1981. Per quello successivo, os- sia del 1991, venne infatti introdotta la ca- tegoria degli “altri” che, salvaguardando il sistema in quanto tale, consentiva formal- mente a chi riteneva di “non appartenere” a nessuno dei tre gruppi ufficiali, di dichia- rarlo, anche se poi -ai fini del godimento dei diritti di cui abbiamo parlato prima- lo ob- bligava comunque ad “aggregarsi” a uno dei soliti tre gruppi linguistici, rientrando così nel sistema di ripartizione proporzio- nale delle varie risorse a disposizione. Al- meno sul piano formale, al singolo dichia- rante tale soluzione non imponeva più una sorta di abdicazione alla propria persona- lità o ai propri convincimenti culturali, e ri- duceva quindi la sua dichiarazione a un mero adempimento burocratico. Nel 1981 v’era anche un nutrito gruppo di veri e propri “obiettori etnici”, persone che dal punto di vista esclusivamente “oggetti- vo” dell’appartenenza non avrebbero avuto problemi a incasellarsi in uno dei tre grup- pi, ma che per varie ragioni politiche, reli- giose, culturali, ecc. rifiutavano di farlo in quanto radicalmente contrario alle proprie idee. Anche queste persone, come tutte le altre “non dichiaranti”, rischiarono di re- stare escluse da tutta una serie di mecca- nismi e di diritti fondamentali che, per l’ap- punto, dipendevano dalla disponibilità a in- quadrarsi etnicamente. Ebbene, con l’intro- duzione della categoria degli “altri” poteva- no in qualche modo “rientrare” nel sistema tutti coloro che avevano avuto difficoltà a dichiararsi nel 1981, ma che non avevano nemmeno, per così dire, la forza per starne fuori. Si trattava, in buona sostanza, di una via di mezzo che permetteva di manifestare la propria “estraneità” allo spirito segrega- zionista del censimento etnico in quanto ta- le, ma nello stesso tempo di non rinunciare ai diritti che avrebbero irrimediabilmente perso se avessero deciso di rifiutare com- pletamente la dichiarazione. Questi “altri”, che nel 1991 venivano quindi per la prima volta censiti e contati, si attestarono su una percentuale significativa, ma non partico- larmente elevata, comunque mai arrivata oltre il 5-6%. In ogni modo, si è resa visibile una realtà che esisteva e che, per quanto piccola, smentiva la pretesa secondo cui il Südtirol/Alto Adige dovesse essere definito solo attraverso i tre gruppi linguistici uffi- ciali. Tuttavia, se nel 1981 il movimento critico verso il censimento etnico aveva dal- la sua la forza della denuncia di una palese e innegabile violenza di quel sistema esclu- sivistico che non lasciava alcuna alternati- va (se non quella della sostanziale espulsio- ne dalla comunità locale), al censimento del 1991 si trovava ormai con le armi spuntate. Il movimento di opposizione ci fu, ma risul- tava più culturale e politico, ossia di mani- festazione del dissenso rispetto al sistema etnicistico in quanto tale, piuttosto che at- tivo nel far emergere vere e proprie criticità del sistema. Si può dire che esso aveva esaurito la sua spinta propulsiva originaria e nel 1991 il censimento si svolse fonda- mentalmente con relativa calma. Ma dal punto di vista del diritto i pro- blemi rimanevano tutti o no? Non proprio, anche se si manifestavano an- cora in alcuni campi particolari. La valvola di sfogo degli “altri” era infatti difendibile dal punto di vista giuridico-costituzionale, in quanto non pretendeva più una dichia- razione “oggettivamente” contraria alla na- tura, alla personalità e alle convinzioni in- dividuali fondamentali del singolo, ma si “limitava” a chiedere invece un atto prati- co-burocratico. Anzi, a ben guardare, con- cedeva addirittura la possibilità di dire espressamente di “non appartenere” a nes- suno dei tre gruppi ufficiali, aggregandosi a uno di essi ai soli fini dell’articolo 89 dello Statuto di autonomia, cioè della proporzio- nale. Probabilmente la Corte Costituziona- le, se interpellata, l’avrebbe fatto passare senza tanti problemi. Anche Alexander Langer, a un certo punto, pur rimanendo fondamentalmente contra- rio alla proporzionale, e quindi al censi- mento etnico che ne costituisce la base, ri- piegò sulla tesi della cosiddetta dichiara- zione ad hoc. Non più, insomma, un rastrel- lamento etnico di massa, ma un meccani- smo meno invasivo nel senso che avrebbe richiesto la dichiarazione soltanto a coloro che ne avessero concreto bisogno nel mo- mento in cui facessero ricorso a risorse sot- toposte alla proporzionale, senza più una schedatura generale e obbligatoria, espres- sione di una ideologia nazionalistica secon- do cui bisogna, per forza, “appartenere” a un gruppo etnico. È chiaro che dal punto di vista della criti- cità di fondo dell’impostazione segregazio- nista nulla era cambiato, anzi la situazione si era -a mio avviso- perfino aggravata, al- meno sul piano ideologico-culturale, perché con il pretesto di riconoscere i diritti e le esigenze degli “altri”, in realtà si finiva co- munque per richiedere una (nuova) dichia- razione, questa volta di “non appartenen- za”, imponendo quindi una dissociazione formale dai gruppi ufficiali. In altre parole, non si concedeva la possibilità di sottrarsi alla schedatura etnica senza subire la di- minuzione del proprio status di cittadino, ma si pretendeva addirittura di distinguer- si dai tre gruppi linguistici. Residuarono comunque alcune questioni particolari, ad esempio di persone che non erano presenti tra i due censimenti o la problematica degli obiettori che, ai fini dell’elettorato passivo, erano disposti a rendere la dichiarazione ad hoc all’atto della candidatura alle elezio- ni comunali o provinciali, possibilità che non veniva tuttavia concessa: emersero se- ri problemi sul piano giuridico che vennero alla fine risolti in sede giudiziale, ad esem- pio riconoscendo il diritto a rendere la di- chiarazione al momento dell’accettazione della candidatura e limitatamente a questa finalità, principio poi recepito anche dal le- gislatore. Piccoli passi in direzione di un ammorbidimento del sistema. Quindi, in occasione del censimento del 2001 si può dire che tutti i punti critici fossero stati superati? In previsione del censimento del 2001 i punti critici -al di là ovviamente delle que- stioni di principio- sembravano risolti. Era però avvenuto un fatto nuovo. Nel 1996 erano entrate in vigore la direttiva europea sulla tutela dei dati e, successivamente, la relativa legge italiana di recepimento che - per la prima volta- qualificarono le infor- mazioni sull’origine o sull’appartenenza nazionale come dato sensibile e quindi sog- getto al tendenziale divieto di raccolta e di conservazione, salvo i casi assolutamente necessari regolati dalla legge e, soprattut- to, sempre nei limiti di una stretta propor- zionalità rispetto alla finalità dichiarata, quindi con il cosiddetto “divieto di eccesso”. A noi dell’Associazione Convivia, sempre contrari alla indiscriminata schedatura et- nica di massa, sembrò allora di poter attac- care il vigente impianto del censimento su un piano prettamente tecnico-giuridico, quindi senza alcuna velleità di animare pubbliche battaglie politiche, ben consape- voli tuttavia della sicura dirompenza -e ri- sonanza- politica della questione. Avan- zammo quindi dei formali ricorsi al Garan- te italiano della privacy e all’organo com- petente per la tutela dei dati presso la Commissione europea, facendo valere il se- guente ragionamento desumibile dalla nuova normativa: è contrario al diritto co- munitario il vigente sistema italiano-pro- vinciale sulla raccolta indiscriminata e sul- la conservazione dei dati sull’appartenenza etnico-nazionale, laddove consente di imba- stire una stabile banca dati di oltre 400.000 dati sensibili personali e nominativi, con- servata tra l’altro in maniera molto primi- tiva in buste di carta in alcune stanze del tribunale, quindi sempre in pericolo di vio- lazione, di distruzione e di abuso. Peraltro, visto che ogni dieci anni si procedeva a una nuova raccolta di buste, a oggi nessuno sa che fine abbiano fatto le dichiarazioni ob- solete dei precedenti due censimenti, anche perché questo passaggio non è mai stato re- golato né procedimentalizzato. Noi di Convivia abbiamo quindi denunciato a livello nazionale ed europeo la violazione della normativa sulla tutela dei dati e, in modo particolare, il mancato rispetto del principio di proporzionalità e del divieto di eccesso. Abbiamo dimostrato, e nessuno mai ci ha smentito, che in realtà questa di- dal punto di vista della criticità di fondo dell’impostazione segregazionista nulla era cambiato 7 intervista
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