A conti fatti

chiarazione serviva, al massimo, a un 10% di tutti coloro che erano tenuti a renderla (e la rendevano), sicché circa il 90% di que- sta banca dati risultava eccedente rispetto alle finalità della proporzionale ed era, di conseguenza, illegittima. Abbiamo perciò chiesto che intervenisse il Garante italiano e che la Commissione europea aprisse una procedura di infrazione contro il governo italiano, ossia che lo costringesse a cambia- re le regole oppure che lo portasse davanti alla Corte di giustizia perché il manteni- mento di questo sistema, dopo l’entrata in vigore della direttiva sulla tutela dei dati, non era più compatibile con il diritto comu- nitario. Il nostro obiettivo era, in pratica, quello di puntare all’introduzione della di- chiarazione ad hoc, cioè alla previsione, mi- nimalista, che la dovessero fare solo quelli che ne avevano concretamente bisogno. Na- turalmente, la politica locale ci obiettò che in questo modo ci sarebbero stati i cosiddet- ti furbi, ovvero coloro che avrebbero reso di- chiarazioni diverse e opportunistiche a se- conda dell’occasione. Rispondemmo che era compatibile con quella nostra richiesta an- che la previsione che, una volta fatta, la di- chiarazione divenisse tuttavia definitiva, per sempre o per un certo periodo. A seguito dei nostri esposti, il Garante ita- liano criticò molto duramente il sistema vi- gente e ne chiese espressamente la modifi- ca, ma fu soprattutto la Commissione eu- ropea ad attivarsi iniziando formalmente una procedura di infrazione contro l’Italia chiedendo spiegazioni e giustificazioni al Governo italiano e alla Provincia di Bolza- no. Il dossier comunitario era stato dunque formalmente aperto e avviato, cosa che mi- se in forte allarme la Svp e, per essa, natu- ralmente, l’Amministrazione provinciale. Va detto che ricorremmo anche al Tribuna- le di Bolzano per ottenere un provvedimen- to d’urgenza che rimettesse la questione di- rettamente alla Corte di giustizia, ma non andò a buon fine per ragioni che è meglio non approfondire. Non fummo fortunati nemmeno sul piano politico. Diventò infatti presidente della Commissione europea Ro- mano Prodi, molto “sensibile” alle istanze della Svp, e soprattutto ci fu una fortissima pressione del Governo austriaco sulla Com- missione europea affinché la procedura d’infrazione non andasse avanti. Inoltre, nel corso di quest’ultima -altra sfortuna po- litica (bipartisan) per noi- diventò respon- sabile del settore tutela dei dati alla Com- missione europea Franco Frattini. Alla fi- ne, l’autorità da lui diretta, insieme al Ga- rante italiano, abdicarono completamente alla loro funzione istituzionale di garanzia e di tutela e avallarono una fittizia via d’uscita che il Governo italiano e la Svp do- vevano assolutamente “inventare” perché la nostra denuncia era talmente fondata che non potevano semplicemente archiviar- la. Premevano quindi sulla Svp e sul Go- verno italiano perché trovassero una solu- zione “qualsiasi”, purché si potesse dire che “qualcosa abbiamo fatto”. Nacque così la norma di attuazione del 2005. Con questa norma i governi italiano e austriaco, la Commissione europea e il Garante italiano ritennero infine di aver risolto il problema e di poter fermare l’ulteriore corso della procedura comunitaria di infrazione. Nello stesso periodo, noi di Convivia attac- cammo il censimento etnico anche su un al- tro piano internazionale, e precisamente ri- volgendoci al Consiglio d’Europa a Stra- sburgo. Infatti, nel frattempo era entrata in vigore, nel 1995, la Convenzione-quadro sulla protezione delle minoranze nazionali ratificata sia dall’Italia che dall’Austria. Ebbene, l’articolo 3 della convenzione sta- biliva che “ogni persona appartenente a una minoranza nazionale ha il diritto di scegliere liberamente di essere trattata o di non essere trattata come tale e nessuno svantaggio deve risultare da questa scelta o dall’esercizio dei diritti che a essa sono le- gati”. Il senso importante di questa dispo- sizione è che ognuno è libero di dichiararsi di appartenere o meno a una minoranza nazionale, e che nessuna conseguenza ne- gativa può derivare da questa scelta: è evi- dente il contrasto del nostro censimento et- nico con tale principio, perché privando co- loro che intendevano non riconoscersi in una delle minoranze -compresa la categoria degli altri “altri”- di quella possibilità vio- lava il principio di libertà della dichiarazio- ne. Questa convenzione ha un organo di vi- gilanza sul suo rispetto da parte dei paesi aderenti, che è il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, assistito da un apposi- to Comitato consultivo. Noi ci siamo rivolti a quest’ultimo ottenendo anche in questo caso più di una richiesta al Governo italia- no di modificare il censimento. Naturalmente, questa nostra battaglia av- veniva in gran parte con la “carta bollata”, ma ciò non impedì che la Svp (con il com- plice silenzio dei suoi variabili alleati di de- stra e di sinistra) si rendesse conto del suo peso politico, non mancando di dirigere le sue cannonate contro Convivia e, talvolta, di colpire anche sul piano personale. Accennavi alla norma di attuazione del 2005 con cui la Provincia di Bolza- no cercò una soluzione alle molte fra- gilità del sistema... Si tratta di un caso, più unico che raro in un paese democratico, di quello che io chia- merei di “malafede legislativa”: formal- mente si concede un determinato diritto, ma il suo concreto esercizio viene tuttavia circondato da tante e tali condizioni e “trappole” per cui, alla fine, quel diritto non può essere esercitato se non con difficoltà e conseguenze tali da renderlo praticamente vuoto. È come se lo stato ti dicesse: “Sei li- bero di viaggiare e di lasciare il paese, ma se lo fai puoi tornare solo dopo due o tre an- ni, e per i successivi tre anni non puoi la- vorare e votare”. Esattamente questi sono la lettera e lo spirito di questa norma di at- tuazione che ha formalmente introdotto la libertà di dichiararsi o di non dichiararsi, o di cambiare la dichiarazione, ovvero di re- vocarla, ma tale libertà è stata “accerchia- ta” da una serie di filo spinato elettrico e di campi minati per cui, evidentemente, non ti conviene esercitarla. Una roba impres- sionante! Anche dal punto di vista del con- fezionamento linguistico questa norma è espressione di una morbosità politica e di una mente legislativa malata. Vogliamo riportarla? Eccola: “Le dichiara- zioni di cui al comma 1 spiegano effetti de- corsi diciotto mesi dal momento della loro consegna e hanno durata indeterminata fi- no al momento in cui un’eventuale dichia- razione di modifica acquista efficacia. Tra- scorsi almeno cinque anni dal momento della sua consegna, la dichiarazione può es- sere modificata dal dichiarante in qualsiasi momento, nei modi di cui al comma 3. La dichiarazione di modifica di cui al presente comma acquista efficacia decorsi due anni dalla sua consegna. La precedente dichia- razione è conservata per un periodo non su- periore a 30 mesi dalla data della consegna della dichiarazione di modifica. La dichia- razione è altresì revocabile in ogni tempo. In caso di revoca il tribunale consegna al dichiarante la busta gialla in plico chiuso contenente il foglio A/1 e annota la data della restituzione senza registrazione an- che informatica relativa al contenuto delle precedenti dichiarazioni o certificazioni. Un’eventuale altra dichiarazione può esse- re presentata decorsi almeno tre anni dalla data in cui il tribunale consegna la busta recante la dichiarazione revocata e ha ef- fetto decorsi ulteriori due anni”. Bisogna veramente essere affetti da una grave degenerazione politica per volere e per riuscire a congegnare un tale delirio normativo. È evidente l’intento di questa norma, non solo di vanificare un diritto nel- lo stesso momento in cui lo concede, ma ad- dirittura -sostanzialmente- di canzonare coloro che la leggono. Un testo di questo ge- nere, se lo fai leggere a un attore, ti fa su- bito pensare che stia facendo del cabaret! Però, malauguratamente, in questo turbi- nio di termini, in questa pazzia c’era del si- stema. Il fine era quello di poter comunica- re formalmente al Consiglio d’Europa, alla Commissione europea, al Garante italiano: abbiamo risolto il problema, c’è la libertà di dichiarazione, c’è la libertà di revocare, nessuno è più obbligato. Ma la cosa davvero 8 formalmente si concede un diritto, ma il suo esercizio viene circondato da tali condizioni per cui non può essere esercitato è un sistema che sta raggiungendo i margini estremi della sua compatibilità con l’attuale composizione della società intervista

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