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Nasrin Sotoudeh, avvocatessa iraniana im-
pegnata per la parità delle donne, la difesa
dei diritti umani, dei prigionieri politici e dei
minori vittime di abusi, è richiusa nel carce-
re di Evin, vicino a Teheran, dal 4 settembre
2010. Il 9 gennaio 2010, la sezione 26 del Tri-
bunale rivoluzionario di Teheran ha emesso
contro di lei una sentenza che la costringe a
scontare una pena di 11 anni in carcere e la
sospende per 20 anni dall’avvocatura.
Il parlamento europeo, pochi giorni dopo
quella vergognosa sentenza, ha chiesto alle
autorità iraniane di liberare Nasrin e di
renderle giustizia. In suo favore sono arri-
vati gli appelli di Shirin Ehadi, sua conna-
zionale e collega, che aveva difeso in Iran.
La sezione americana dell’associazione in-
ternazionale Pen l’ha insignita del presti-
gioso premio “Barbara Goldsmith Freedom
to Write”. Amnesty International e le mag-
giori organizzazioni per i diritti umani han-
no organizzato campagne in suo favore. Non
sono servite a nulla finora, mentre sono già
passati due anni dalla sua incarcerazione.
Per diversi mesi in isolamento dopo l’arresto
con l’accusa di “propaganda contro il sistema
e attentato alla sicurezza nazionale”, Nasrin
ha condotto tre lunghi scioperi della fame
resistendo a pressioni e minacce continue.
Prigioniera politica perché difende altri pri-
gionieri politici arrestati dopo la repressio-
ne seguita alle elezioni presidenziali farsa
del 2009, molti dei quali come lei ancora in
carcere: giornalisti, dissidenti, attivisti del
movimento studentesco. Prigioniera politica
perché afferma i diritti delle donne. Prigio-
niera politica come conseguenza del fatto
che una buona parte della sua vita profes-
sionale l’ha passata a difendere bambini e
madri vittime di abusi di padri e mariti vio-
lenti e tiranni.
Sposata, ha due figli, Nima e Meraveh, di sei
e 13 anni. Suo marito, Reza Khandan, nel
corso di questi due anni è stato spesso nel
mirino delle autorità, che colpendolo spera-
no di creare ulteriore pressioni su Nasrin, di
piegarla e spingerla a false confessioni au-
toaccusatorie. è stato anche lui arrestato,
sebbene solo per 24 ore. Nel corso di questa
estate lui e i due figli sono stati trattenuti
per molte ore a Evin dopo la visita settima-
nale a Nasrin. Lei, in segno di protesta, da
quasi un mese si rifiuta di ricevere ulteriori
visite del marito e dei figli “per tutelare la
loro sicurezza”, fa sapere dal carcere.
A questa reazione si aggiungono lunghi scio-
peri della fame con i quali ha voluto recla-
mare i suoi diritti di prigioniera quando, ad
esempio, le hanno vietato il contatto diretto
con i figli, obbligandola a vederli attraverso
un vetro, o di presentarsi al colloquio con il
chador invece che con il suo consueto fou-
lard. Nonostante le dure condizioni della
sua vita in carcere, Nasrin non ha mai pie-
gato la schiena.
Nel 2008, Human Rights International di
Bolzano ha assegnato il suo primo premio
a Nasrin Sotoudeh, che però non ha avuto il
permesso di espatriare per ritirarlo. Al suo
posto sono intervenuti alla cerimonia il ma-
rito Reza Khandan e la figlia Mehraveh.
(Sabri Najafi)
Nasrin Sotoudeh
Prigioniera politica
Diritti umani, diritti delle donne
Negli ultimi decenni le donne iraniane hanno affrontato molte difficoltà. Oggi, con un’espe-
rienza centenaria alle spalle e grazie agli impegni degli ultimi trent’anni, sono portatrici di
richieste chiare e trasparenti che manifestano ad alta voce.
Chiedono la modifica delle leggi che considerano il valore della vita di una donna pari alla
metà del valore della vita di un uomo, come nel caso di risarcimento di un incidente stra-
dale per il quale viene riconosciuto alla donna la metà di quanto riconosciuto per l’uomo.
Vogliono cambiare le leggi secondo le quali la testimonianza di una donna vale la metà
della testimonianza di un uomo; le leggi che permettono all’uomo di ripudiare la donna
e gli consentono la poligamia, di avere cioè fino a quattro mogli permanenti e un numero
illimitato di altre mogli con i matrimoni temporanei.
Vogliono cambiare le leggi secondo le quali l’età della responsabilità penale in Iran è di
nove anni per le femmine e di 15 anni per i maschi; le leggi che stabiliscono che le figlie fem-
mine ereditano la metà degli eredi maschi della famiglia, mentre la moglie eredita ancora
meno; le leggi secondo le quali una ragazza già all’età di 13 anni può essere data in moglie
e non ha il diritto di chiedere il divorzio quando diventa maggiorenne.
È ovvio che tali leggi non possono essere accettate dalle donne che, secondo le statistiche
ufficiali, compongono il 70% della popolazione universitaria in Iran.
Contestando queste leggi, le donne hanno messo in piedi l’iniziativa della “campagna per
la raccolta di un milione di firme per cambiare le leggi discriminatorie”, strada per strada
e porta a porta, da presentare in Parlamento, creando così la possibilità di dibattito sulle
leggi discriminatorie. Il prezzo che hanno pagato per questa iniziativa è stato l’arresto, il
rinvio a giudizio, pesanti condanne e l’impossibilità di viaggiare all’estero.
Negli ultimi anni, che sono stati quelli più duri per il movimento, le donne non sono state
solo perseguitate, arrestate, o private del permesso di lasciare il paese, ma hanno subìto
condanne pesanti e persino la fustigazione.
Nel nostro impegno per la riforma della giustizia in Iran ci ispirano i grandi giuristi classici
italiani, che hanno promosso concetti come “reato” e “colpevolezza”. Parlo dell’impegno di
Cesare Beccaria, Enrico Ferri, Raffaele Garofalo, ritenuti pionieri nella lotta per il rispetto
dei diritti dell’imputato, nella concezione di un processo non influenzato da pregiudizi, rab-
bia e vendetta e nell’eliminazione della pena di morte. Il pensiero di questi giuristi ha dato
un grande contributo alla formazione del concetto di “Diritti Umani”.
I tempi sono duri in Iran, ma prima di noi ci sono stati molti milioni di persone a condurre
la difficile lotta per la democrazia. Come sono riusciti loro, saremo in grado anche noi di
superare gli attuali ostacoli e difficoltà.
Dall’intervento di Nasrin Sotoudeh nel film-documentario sul ruolo delle donne in Iran presentato l’8 marzo
2011 al Museo delle Donne/Frauen Museum (http://www.museia.it/) a Merano e Bolzano.
Sai tu che cosa dice il rabab,
parlando di lacrime
e di dolore bruciante?
Dice: “sono scorza rimasta
lontana dal midollo, perché
non dovrei piangere
nel tormento della separazione?”
(Rumi)
(foto di Majid Saeedi)