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Giovane studente iraniano, arrestato dopo le
elezioni, torturato e violentato nel centro di
detenzione di Kahrizak, oggi vive a Parigi.
La sua storia ha fatto il giro del mondo. è
anche uno dei quattro rifugiati iraniani pro-
tagonisti del documentario realizzato dal-
la giornalista della Rai Monica Maggioni,
presentato alla Mostra Internazionale del
Cinema di Venezia nel settembre del 2011.
Mehtari è stato aggredito anche a Parigi. Al-
cuni “sconosciuti” che parlavano in “farsi” lo
hanno assalito una notte mentre rientrava a
casa. Dopo averlo ferito con alcune coltellate,
hanno cercato di impiccarlo a un albero, ma
il passaggio casuale di un’auto della polizia
ha messo in fuga gli aggressori, che non sono
mai stati identificati.
Quando è stato arrestato?
Il 17 agosto del 2009, dopo essere uscito dal
quartier generale di uno dei partiti rifor-
misti. Alcuni militari della Guardia della
Rivoluzione in borghese mi hanno carica-
to su una macchina e portato al centro di
detenzione di Kahrizak. Mi accusavano di
diffusione di notizie false e tendenziose, di
aver organizzato raduni sovversivi e di aver
messo in pericolo la sicurezza dello Stato. In
realtà uscivo dalla sede di un partito legal-
mente registrato, avevo partecipato a mani-
festazioni tenute in base a quanto permes-
so dalla Costituzione e sul mio blog avevo
parlato di quanto accadeva nelle strade di
Teheran. Nulla di tutto quello che avevo
fatto poteva essere un reato. Almeno non se-
condo la Costituzione in vigore. Sono stato
picchiato, umiliato, torturato e violentato.
Non sono mai stato accusato formalmente
di nulla e non ho mai visto un giudice o un
magistrato. Quando mi hanno rilasciato, tre
settimane dopo, in una zona abbandonata
nella periferia occidentale di Teheran, ero
un cadavere ambulante.
Una famiglia di passaggio mi ha fatto salire
sulla propria auto e mi ha accompagnato da
un medico legale, il quale, dopo una lunga
visita, ha scritto in un rapporto tutto quello
che avevo subìto.
Un rapporto che fece scoppiare lo scan-
dalo di Kahrizak…
Ho consegnato tutta la documentazione
all’ex candidato presidenziale Mehdi Kar-
roubi, che ha fatto scoppiare il caso. Il Par-
lamento, e poi anche il governo, ha dovuto
formare commissioni d’inchiesta e ammette-
re che c’erano stati degli abusi. Solo alcuni
personaggi poco influenti sono finiti sotto
inchiesta, ma il centro è stato poi chiuso
definitivamente. Io avevo sentito molto par-
lare delle torture e delle angherie contro i
detenuti politici nei primi anni dopo la vit-
toria della rivoluzione islamica, ma avevo
pensato che si trattasse di esagerazioni e
di montature per screditare la Repubblica
Islamica. Uscito da Kahrizak, e dopo quello
che ho visto e provato sulla mia pelle, non
ho più alcun dubbio su quello che si dice del-
le stragi di prigionieri politici e minoranze
etniche e religiose negli anni ’80.
Com’era Kahrizak e cos’è successo in
questo centro?
Questo centro è nato come un carcere per
trafficanti di droga e criminali pericolosi.
Pessime erano le condizioni di vita dei de-
tenuti, con cibo scarso e senza una vera e
propria assistenza medica. Per non parlare
di come questi venivano trattati dalle guar-
die carcerarie. Dopo le elezioni il carcere di
Evin e altri centri di detenzione erano pieni,
si decise allora di rinchiudere a Kahrizak i
semplici cittadini, quelli che partecipavano
alle manifestazioni, ma senza alcun ruolo e
rilevanza politica. Ci mettevano in cella con
ladri, assassini e trafficanti di droga. Spes-
so, dopo duri interrogatori accompagnati
da botte e violenza, al rientro in cella dove-
vamo subire anche le aggressioni di questi
compagni di prigionia. Violenze che a volte
erano peggiori di quelle subite durante gli
interrogatori.
è vero che durante gli interrogatori è
stato accusato anche di spionaggio a
favore dell’Italia?
Durante uno degli interrogatori mi mostra-
rono una foto che mi ritraeva insieme a Ro-
mano Prodi.
La foto, presa dal mio blog, era stata scattata
da un mio amico ai margini di una conferen-
za internazionale sul tema delle religioni nel
mondo, organizzata nell’ottobre del 2008, dal
Centro per il Dialogo tra le Culture, presie-
duto dall’ex presidente Mohammad Khata-
mi. Dicevano che quella foto era la prova dei
miei contatti con un paese ostile.
Non ho mai capito quando l’Italia avesse di-
chiarato guerra o qualcosa di simile alla Re-
pubblica Islamica per essere considerata un
paese ostile.
I ricordi di quella esperienza sono gli incubi
che mi svegliano ogni notte.
Nessuno ha mai accettato di dormire nella
stessa stanza con me, dopo aver passato una
notte in mia compagnia. Mi sveglio decine di
volte di soprassalto e quando dormo rantolo
tutto il tempo. è un delirio che continua dal
giorno in cui sono uscito da Kahrizak.
La fuga dall’Iran e la vita in esilio in
Francia non aiuta a dimenticare?
No. Avevo sempre pensato a Parigi e alla
Francia come al posto più bello del mondo,
con i caffè pieni di intellettuali che parlano
e discutono animatamente. Il mio desiderio
era imparare il francese per vedere i film in
lingua originale e andare a teatro.
Oggi vivo a Parigi ma non riesco a impara-
re una sola parola di francese, spesso sono
chiuso nella mia stanza e non esco se non
per procurarmi qualcosa da mangiare e le
sigarette.
In realtà sono rinchiuso in una cella d’iso-
lamento, come in un carcere. L’unica diffe-
renza è che ho in tasca le chiavi di questa
cella, ma non voglio e non riesco ancora ad
aprirla.
(A.R.)
EbraimMehtari
Una vita bruciata nel carcere
dopo quello che ho visto e provato
sulla mia pelle, non ho più alcun
dubbio su quello che si dice delle stragi
nessuno ha mai accettato di dormire
nella stessa stanza con me, dopo aver
passato una notte in mia compagnia