Da settembre, in Gran Bretagna, apriranno ventiquattro "free school”, delle scuole private aperte da soggetti confessionali, da gruppi di insegnanti o di genitori che riceveranno gli stessi fondi destinati alle scuole pubbliche (proporzionati al numero degli studenti iscritti), avendo però piena libertà nell’organizzazione dei curriculum, degli orari, delle vacanze, ecc. [Ne parla Belona Greenwood qui].

Si tratta di un modello importato dalla Svezia, dove però proprio in queste settimane è uscito un rapporto che denuncia come l’ingresso di operatori privati abbia portato maggiore segregazione, senza peraltro aumentare i risultati degli studenti, anzi. Le motivazioni del fallimento sarebbero diverse: in alcune "free school” gli esaminatori (essendo interni) sarebbero di manica larga rispetto alle scuole municipali; la totale autonomia nella gestione avrebbe portato a scelte decisamente discutibili: ci sono scuole che non hanno una biblioteca, o che magari dedicano la maggio parte delle ore a danza e canto; ma in generale il dubbio è che la ricerca del profitto alla fine vada a scapito della qualità.

Certo è che nelle classifiche internazionali, i risultati degli studenti svedesi, in media, sono calati un po’ in tutte le materie, umanistiche e scientifiche. Richard Orange, giornalista del Guardian, è andato a indagare e, da Malmö (terza città della Svezia), racconta che il giorno di riapertura delle scuole si è trovato di fronte a una scena curiosa: in giro per la città c’erano gruppi di studenti che confrontavano i portatili dati loro in dotazione dalla scuola. Se ProCivitas, la più prestigiosa "scuola libera” (e profit) della città si è buttata sui mini Hp e alla Thoren Business School danno i Dell, il liceo comunale -per sbaragliare la concorrenza dei privati- ha deciso di dare ai suoi studenti nientemeno che dei MacBook.

Orange racconta che per ora genitori e studenti sembrano soddisfatti del modello, anche se preferirebbero che le compagnie private evitassero di metter su scuole per mero profitto. L’accusa più grave dello studio è però quella della segregazione. In effetti, a confrontare la ProCivitas (dove sono tutti vestiti bene e di immigrati se ne vedono pochi) e il Kunskapsgymnasiet (dove oltre il 60% è costituito da immigrati e profughi) qualche dubbio viene.
Non bisogna però pensare che siano i presidi a scegliere gli allievi. In realtà le scuole possono solo comunicare quanti studenti accettano. Il fatto è che se la ProCivitas, che offre trecento posti, riceve mille domande, il Comune manderà quelli con i profitti migliori. D’altra parte, se il Kunskapsgymnasiet ha più posti dei richiedenti finirà con il dover accettare tutti quelli che non sono riusciti a entrare nella scuola scelta. Insomma c’è qualcosa che non va.

Il Kunskapsgymnasiet fa parte di una rete di trentadue scuole indipendenti (Kunskapsskolan) caratterizzate da un sistema che punta sulla massima responsabilizzazione degli studenti che possono decidere liberamente quando, dove e cosa studiare. Per esempio, i corsi di informatica e nuove tecnologie vengono fatti online, l’inglese si può decidere di impararlo guardando la tv... I dirigenti della Kunskapsskolan sostengono che la formula funziona e che nonostante alcuni studenti arrivino all’università con qualche lacuna ("alcuni studenti in effetti hanno qualche difficoltà a maneggiare tutta questa libertà”), questo sistema in realtà è proprio quello giusto per premiare i giovani ambiziosi, anche gli immigrati. Diversa l’idea che si è fatto Mohamed, che frequenta il Kunskapsgymnasiet a Malmö: la sua impressione è che in quella scuola neanche gli insegnanti abbiano voglia di andarci: "Perché ci considerano senza futuro”.

16 settembre 2011
(guardian.co.uk)