Il Centro Piero Gobetti ha organizzato la presentazione de L’Italia qual è di Francesco Saverio Merlino (edizioni Una città) al Salone del libro di Torino. Ha introdotto Pietro Polito e sono intervenuti Marco Scavino e Pietro Adamo. Di quest’ultimo pubblichiamo qui l’intervento.

Ho letto per la prima volta questo libro nel 1990, più di vent’anni fa. L’ho letto come studioso dell’anarchismo e ne ho percepito all’epoca essenzialmente due dimensioni. La prima è quella tipica del momento in cui Merlino scrive, tra il 1889 e il 1890: in sostanza, una robusta critica del Risorgimento così come si era svolto, sotto una forma che ci è oggi abbastanza familiare, grazie agli scritti dei vari neoborbonici che ci hanno ammorbato negli scorsi lustri. Anche ne L’Italia qual è abbiamo il Piemonte prevaricatore, il Meridione inglobato, Napoli ricca e potente, le banche e i capitalisti del nord che piombano come falchi sul sud, eccetera eccetera. Tuttavia, il Merlino anarchico del 1890 -che non è ovviamente né un conservatore né un nostalgico- dispone tutti questi elementi entro una forte lettura critica del ruolo strutturale dei poteri costituiti, dello stato, del governo, dell’amministrazione pubblica unitaria.
Vi racconto brevemente di Francesco Saverio Merlino. Avvocato napoletano, uomo estremamente passionale ma con una mente acuta e critica, si interessa di teoria economica, di diritto, di politica. Convinto militante anarchico, per molti anni partecipa in prima persona alla cose del movimento; è uno dei suoi massimi leader, scrive sulle sue riviste, pubblica libri, polemizza con gli avversari, presenzia ai convegni internazionali; difende non di rado in prima persona i libertari in un momento in cui compaiono molto spesso davanti ai tribunali; continua a farlo anche dopo aver abbandonato l’anarchismo (per esempio, è lui l’avvocato difensore di Gaetano Bresci). Agli inizi degli anni Novanta, quando il movimento anarchico comincia a caratterizzarsi per l’enfasi sulla "propaganda del fatto”, sulla violenza, o, se preferite, sul terrorismo, gli attentati e le bombe, Merlino matura un allontanamento da tale movimento che è anche una specie di attacco di laicismo.
Come dire, in quella situazione, di fronte a questi tratti emergenti nel pensiero e soprattutto nella pratica degli anarchici, Merlino scorge i risvolti irrazionalistici, quasi religiosi, della mistica dell’insurrezione e dell’attentato, vi vede una sorta di pedagogia culturale in fondo solo demagogica. A confronto con queste, l’avvocato napoletano matura un giudizio più misurato sull’intera questione della rivoluzione, della politica e della natura delle riforme. Dopo un periodo passato in prigione, abbandona così l’anarchismo e rientra nella più ampia corrente del socialismo italiano, sempre restando comunque nel solco libertario, ovvero proponendo un socialismo autogestionario, antistatalista, gradualista, dal basso, che accetta il valore positivo del mercato e della concorrenza entro un paradigma solidaristico e umanistico, ma che, nel contempo, giudica irrinunciabili alcuni meccanismi di controllo e coordinamento associati all’esperienza moderna (i tribunali, per esempio). Merlino è uno dei primi uomini di sinistra attenti alle ragioni del marginalismo e alle motivazioni che provengono dalla scuola austriaca; uno dei primi a confutare il marxismo sul piano economico, con una critica ragionata della teoria del valore-lavoro. Nell’area socialista risulta quindi un personaggio scomodo, per nulla disposto a entrare nei giochi di potere, fuori dalle gerarchie del partito, sempre un po’ esterno, sempre un po’ estraneo. È critico con gli estremisti e durissimo con i moderati.
Il suo è un socialismo che si basa, con accenti che si fanno sempre più marcati, su una vocazione etica (non moralistica), che lo situa in una linea ideale che va da Cattaneo a Salvemini. Non a caso, il suo ultimo libro è pubblicato da un altro intellettuale spesso accusato di eccessivo moralismo (nel senso deteriore del termine), Piero Gobetti. Il socialismo merliniano anticipa così, con la sua tendenza libertaria, spontaneistica e di mercato, le soluzioni istituzionali, politiche ed economiche proposte da giellisti, socialisti autonomisti ed eretici vari negli anni Trenta e Quaranta.
Ma non voglio insistere più di tanto su questo punto. Voglio invece soffermarmi sull’esperienza della seconda lettura di L’Italia qual è, risalente a qualche settimana fa, quando gli amici di ...[continua]

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