Vito Niccolò Livorti, pensionato, vive al Pilastro, quartiere di Bologna.

Ci puoi parlare di come è cambiato il Pilastro negli ultimi anni, rispetto a quando ci sei venuto ad abitare tu?
Per capire le trasformazioni avvenute nel quartiere nell’ultimo decennio bisogna partire da lontano, dagli anni ‘60-‘70. Ricordo che negli anni ’60, quando arrivammo noi, qui non ci voleva venire nessuno perché era una zona troppo distante dalla città. Però a quei tempi vivere al Pilastro era molto piacevole e la convivenza tra noi abitanti era tranquilla, a prescindere dal fatto che fossimo bolognesi o meridionali -perché allora nelle case pubbliche abitavano tutti italiani. Qui intorno non c’era niente, addirittura nei terreni incolti pascolavano le pecore e d’estate si andava all’aria aperta e si scherzava, si giocava. Ma, soprattutto, gli anni ’60 e ’70 furono un periodo di fortissimo impegno politico; il comitato inquilini, ad esempio, costituiva una realtà viva e importante del Pilastro; all’interno c’erano quasi tutti i partiti politici dell’arco costituzionale, dalla Dc ai comunisti, ai socialdemocratici e questo contribuiva a dare al quartiere una scossa, una prospettiva per il futuro, a spingere i suoi abitanti all’impegno: volevamo affermare che il Pilastro era nato male ma noi, col nostro impegno di cittadini, saremmo riusciti a migliorarlo.
I problemi sono cominciati a partire dalla crisi politica dei partiti, parecchi dei quali purtroppo non ci sono più; di conseguenza abbiamo perso per strada amici e compagni che erano il punto di riferimento del quartiere.
Negli anni ‘80 sono cominciati i primi problemi di vivibilità, con l’arrivo di una seconda ondata migratoria dal Meridione. Essendo il Pilastro situato all’estrema periferia bolognese, i ragazzi immigrati, senza radici nel territorio, non si integravano facilmente, rimanevano isolati dentro il quartiere e senza prospettive. In quel periodo si verificarono i primi atti di vandalismo: piccoli furti, rottura dei vetri delle porte d’ingresso, campanelli bruciati e episodi di questo genere. A quei tempi, però, pensammo non tanto al bullismo quanto ad una specie di racket, perché poi a riparare i campanelli o a montare i vetri nuovi veniva sempre lo stesso tizio.
Poi, tra gli inizi e la metà degli anni ‘80, la situazione peggiorò, divenne veramente insostenibile. Tenete presente che il parco Pier Paolo Pasolini ancora non c’era, al suo posto c’erano dei terreni incolti, e gli architetti progettavano di occuparli costruendo casette a due o tre piani: praticamente un secondo Pilastro nel Pilastro. Però a quei tempi c’era ancora una forte coscienza politica e urbanistica, così noi del quartiere ci opponemmo al progetto: per noi era importante salvaguardare quel pezzo di terra che poi è diventata il parco, perché per il quartiere rappresentava un polmone verde che dava un certo respiro.
Infatti il parco Pier Paolo Pasolini è abbastanza esteso, forse uno dei più grandi della città. Allora gli architetti -bravi quelli, capiscono tutto loro- hanno costruito questo “virgolone” alla francese. La battaglia per preservare l’area del parco però non finì qui: successivamente contrastammo un ulteriore progetto che prevedeva la costruzione di altri palazzi, delle altre “virgole” nell’area dove si trovano le Torri; noi invece sostenevamo che, per non rovinare il parco, sarebbe stato meglio elevare l’altezza delle Torri. E vincemmo anche questa battaglia, infatti non fu costruito nessun nuovo palazzo ma furono aumentati i piani delle Torri.
Quand’è che la situazione si è deteriorata?
E’ diventata incontrollabile a partire dagli anni ’90; addirittura la stampa locale ci accusava continuamente di essere “il ghetto”. A peggiorare le cose contribuiva una prassi dell’ente locale, grazie alla quale, anche se la legge per l’assegnazione delle case pubbliche prevede una graduatoria, le case venivano assegnate a famiglie problematiche anche fuori graduatoria; interveniva un’assistente sociale che diceva: “Io devo sistemare una famiglia con dei problemi sociali e quant’altro…”. E dove la sistemiamo? Nelle case pubbliche.
Allora noi, nei primi anni ’90 -a quell’epoca c’era ancora il Pci- ci attivammo ed elaborammo un piano per cercare di risolvere i problemi di convivenza del quartiere. Era il periodo del primo governo Amato e il ministro dei Lavori Pubblici, Merloni, aveva avanzato la proposta di vendere tutte le case popolari; ricordo che il quartiere Barca fece un ...[continua]

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