Onestà intellettuale vorrebbe che nel discutere del “caso Sofri” si tenesse conto di un dato di fatto: che Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani sono entrati in galera, nel carcere di Pisa, invece di scegliere la strada della fuga o dell’esilio, per potere continuare ad affermare la loro verità contro la verità giudiziaria scritta nelle sentenze, e quindi per affermare e far riconoscere la loro innocenza, la loro estraneità all’assassinio del commissario Calabresi, per continuare ad affermare a testa alta che giustizia non è stata resa da quelle sentenze. Se hanno ragione, come io ritengo, giustizia non è stata resa nei loro confronti e non è stata resa neppure nei confronti di Calabresi. Essi inoltre sono entrati in carcere per poter difendere la loro identità di dirigenti e di militanti politici di un movimento denominato “Lotta Continua” che ha operato con luci ed ombre nella prima metà degli anni ’70 e che si sciolse nel 1976. Loro ritengono infatti che per costruire la loro condanna sia stata necessaria un’operazione di falsificazione storica che ha trasformato quel movimento in un’organizzazione terroristica del tutto simile alle altre che insanguinarono l’Italia nella seconda metà degli anni ’70 e nei primi anni ’80.
Entrando in carcere hanno dunque proclamato la loro intenzione di difendere, con la loro innocenza e il loro onore, anche il loro passato, una memoria veritiera di quegli avvenimenti, la storia reale di Lotta Continua. Toni Negri ha liquidato questa scelta come “inutile romanticismo”. Dal suo punto di vista ha ragione: lui infatti, che era stato eletto deputato nelle liste del partito radicale, se ne scappò in Francia dopo l’autorizzazione all’arresto da parte della Camera, lasciando in carcere i suoi compagni del 7 aprile.
La verità anche giudiziaria sul 7 aprile e sul teorema Calogero è stata poi perseguita e in gran parte ottenuta, ma senza e sostanzialmente contro di lui. Questo esercizio di onestà intellettuale deve essere compiuto sia dagli amici di Adriano Sofri, ed io sono tra questi, sia dai suoi numerosi ed accaniti nemici.
Dagli amici innanzitutto: “Liberi liberi” è un bello slogan ma non mi sembra che i tre condannati si accontenterebbero della libertà a qualsiasi costo. Un provvedimento generalizzato di indulto ed amnistia per tutti i reati di terrorismo e di associazione eversiva ridarebbe forse loro la libertà -e l’indulto neppure quella perché ridurrebbe solo la durata della pena- ma non potrebbe restituire loro l’onore e la verità della propria storia. Da sempre Adriano Sofri è favorevole a un tale provvedimento di chiusura -come si usa dire- della tragica stagione degli “anni di piombo” senza rinunciare a sottolineare però la diversità e singolarità del suo caso. Personalmente penso che tutte e due queste misure si iscriverebbero all’interno della politica e della legislazione d’emergenza: sarebbero l’altra faccia delle leggi eccezionali e continuo a ritenere che siano queste e non i loro effetti a dover essere rimosse. C’è solo da augurarsi che, se uno di questi due discutibili rimedi sarà varato e contribuirà a rasserenare gli animi su avvenimenti tragici che risalgono a 16-17 anni fa, possa a maggior ragione rasserenarli nel dibattito e nella ricerca della verità su vicende che risalgono a 25-30 anni fa. Quelle vicende -è bene ricordarlo- culminarono con il brutale assassinio del commissario Calabresi ma cominciarono con la strage di Piazza Fontana, con la caccia al mostro Valpreda e con il “malore attivo”, per usare l’espressione del giudice istruttore D’Ambrosio, che precipitò l’anarchico Pinelli dal quarto piano della Questura di Milano. Ci sono state molte vittime, tutte meritevoli di pietà e di memoria, in questa tragica e luttuosa vicenda e nessuna di esse ha avuto ancora giustizia.
Non si devono nutrire soverchie speranze neppure sulla grazia perché rischiano di tramutarsi in illusioni. Certo, la nuova legge consente la concessione della grazia anche d’ufficio e, se esistessero uomini giusti e saggi al vertice delle istituzioni, saprebbero trovare gli argomenti per motivarla senza offendere alcuno e rispettando le ragioni di tutti. Ma ci sono purtroppo in giro molti Don Abbondio. Uno di questi, il ministro Flick, si è affrettato a mettere le mani avanti affermando che la grazia non può divenire un quarto -e improprio- grado di giudizio. Ora si tratterà di vedere il concreto atteggiamento che sulla questione assumerà Scalfaro ...[continua]

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