Il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia (Crif) chiama a manifestare l’8 aprile non solo per protesta contro gli attacchi ai luoghi di culto, ma per “sostenere Israele”. Mentre è in corso la pulizia militare nei territori occupati questo sostegno assume un significato molto particolare. Con la pretesa di parlare a nome degli ebrei del mondo intero, i dirigenti israeliani ed i portavoce comunitari usurpano la memoria collettiva del genocidio ebraico e ne dirottano l’eredità. Riprendendo la parola d’ordine degli oppositori americani alle crociate imperiali rispondiamo: “Non a nome nostro!”. Ariel Sharon, con il sostegno di George W. Bush, ha deciso di schiacciare la resistenza palestinese, di distruggere le sue istituzioni, di umiliare i suoi dirigenti e di costringere questo popolo ad un nuovo esodo. Il giorno di Pasqua il notiziario televisivo ci ha offerto lo spettacolo disgustoso di un presidente statunitense, rilassato, in tenuta informale da week end, chiedere con cinismo maggiore buona volontà ad un Yasser Arafat assediato, privo di acqua e a lume di candela! Di fronte alla tragica solitudine del popolo palestinese, la “comunità internazionale” fa a gara in dimissioni e capitolazioni vergognose.
I ministri laburisti israeliani eseguono docilmente la politica del peggio! I dirigenti arabi non fanno niente per far rispettare i diritti del popolo palestinese. Pronti a seguire le orme delle legioni imperiali americane in nome del diritto internazionale, i dirigenti europei si accontentano tutt’al più di buone parole quando le truppe di Sharon ignorano le risoluzioni dell’Onu! Le belle anime intellettuali che si sono commosse, a giusto titolo, della sorte dei rifugiati del Kosovo o dei bombardamenti su Grozny tacciono a proposito della sorte dei palestinesi e di fronte ai muri carbonizzati e alle rovine di Ramallah!
Pieni di compassione pre-elettorale nei confronti delle vittime di atti antisemiti che nulla, e certamente non il sostegno al popolo palestinese, può giustificare, i nostri governanti diventano pudicamente silenziosi di fronte ai crimini commessi dalle truppe d’occupazione in Cisgiordania! Quelli e quelle che giustificano il ritorno degli ebrei in Israele, in nome di un diritto di sangue millenario, rifiutano il diritto al suolo ai palestinesi! I dignitari delle Nazioni Unite si adeguano alle umiliazioni inflitte all’Autorità palestinese! Coloro che pretendono di amministrare la giustizia universale voltano la testa per non vedere le”liquidazioni extragiudiziarie”, le esecuzioni sommarie di prigionieri e i crimini di guerra di Ariel Sharon!
Riconosciuta dall’Autorità palestinese e da numerosi governi arabi, la realtà nazionale israeliana è ormai stabilita in modo irreversibile. Ma una pace duratura esige il riconoscimento reciproco dei due popoli e la loro coesistenza fondata su uguali diritti. Gli israeliani hanno uno stato sovrano, un potente esercito, un territorio; i palestinesi sono parcheggiati in campi da mezzo secolo, sottoposti alle brutalità e alle umiliazioni, assediati su un territorio a pelle di zigrino: grande come un dipartimento francese, la Cisgiordania è lacerata da strade strategiche, è tempestata da 700 checkpoint sparsi e cosparsa di colonie. Non c’è simmetria tra occupanti e occupati.
Il ritiro incondizionato dell’esercito israeliano dai territori occupati e lo smantellamento delle colonie non rappresenterebbero neanche una riparazione dell’ingiustizia commessa nei confronti dei palestinesi, ma soltanto l’applicazione di un diritto formalmente riconosciuto da trentacinque anni dalle risoluzioni 242 e 337 dell’Onu fino alla risoluzione 1042 del Consiglio di sicurezza. Al contrario Bush chiede sempre maggiori concessioni e garanzie per le vittime. Sharon sequestra i loro rappresentanti, fa saltare in aria con la dinamite le loro case mentre il suo esercito blocca i soccorsi sanitari.
Questa politica del peggio porta diritto alla catastrofe, non solo del popolo palestinese minacciato da un nuovo esodo purificatore, ma anche del popolo israeliano coinvolto nella spirale suicida dei suoi dirigenti. Quale può essere l’avvenire di uno Stato fondato sull’oppressione, l’ingiustizia e il crimine? E quale può essere l’avvenire di un popolo che fugge davanti alle proprie disgrazie e le proprie angoscie in una scalata omicida?
Era prevedibile che a forza di assimilare il giudaismo con la ragione di Stato e di rappresentare le istituzioni e ...[continua]

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