“La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo è ritornato un film di grande attualità.
Viene proiettato nelle scuole militari americane per insegnare le tecniche e le dinamiche della guerra anti-terroristica urbana.
Quella di Algeria era una guerra coloniale, quella in Iraq non è una guerra di liberazione?
Ciò che conduce l’una all’altra e che svela senza pietà il volto vero della guerra di Bush è lo scandalo della tortura.
Che cosa unisce e che cosa distingue lo “stato di tortura” (Vidal-Naquet,1963) della Francia democratica nella seconda metà degli anni Cinquanta e lo “stato di tortura” odierno nella democrazia americana della “guerra infinita”?
Lo scandalo allora fu enorme. La Francia della proclamazione dei diritti dell’uomo, la Francia che ancora aveva caldo il ricordo della sua gente che urlava di dolore sotto le sevizie della Gestapo strappava urla ad altri uomini nelle camere di tortura.
Scriveva Sartre nell’introduzione alla testimonianza di Alleg: “Atterriti dallo stupore, i francesi scoprono questa evidenza terribile: se niente vale a proteggere una nazione contro se stessa -né il suo passato, né le sue fedeltà, né le sue proprie leggi- se bastano quindici anni per cambiare le vittime in carnefici, allora chi decide è l’occasione; basta l’occasione a trasformare la vittima in carnefice: qualsiasi uomo, in qualsiasi momento”.
Nella Francia della seconda metà degli anni ’50 c’è vergogna, c’è segretezza attorno alla tortura.
Ci sono voci, sussurri, smentite altisonanti da parte delle massime autorità, una grande propensione della stampa a volgere lo sguardo altrove.
Con la testimonianza di Henri Alleg nel 1958 tutto cambia, c’è la prova decisiva: un giornalista francese torturato dai francesi in Algeria parla, testimonia.
Scrive Sartre: “Con La tortura tutto cambia. Alleg ci risparmia la vergogna e disperazione, perché è una vittima e ha vinto la tortura”.
In America, dopo l’11 settembre le cose vanno molto diversamente.
E’ su un giornale liberal che si apre un pubblico dibattito che prende avvio con questa invocazione: “E’ ora di passare alla tortura”!
Non è un mistero che la base di Guantanamo, con la sua extraterritorialità, garantisce condizioni ottimali per torture psicofisiche a detenuti senza nome, senza diritti elementari: morti viventi.
In America lo scandalo avviene soltanto quando gli orrori del carcere di Abu Ghraib vengono esposti come auto-glorificazione massmediatica della tortura.
Non è l’esistenza ma la sgarbata indecenza del suo apparire che turba la nostra tranquilla condizione di utile inconsapevolezza.
Alleg è un torturato francese che con la parola ha denunziato i francesi torturatori.
In Iraq sono i torturatori occidentali che si mettono in posa per esibire se stessi trionfanti nell’atto di esercitare l’annullamento dell’altro. Questo avviene tramite l’oggettiva e scioccante illustrazione della fotografia.
Sartre parlando della testimonianza di Alleg scrive: “C’è un certo sinistro umorismo, in questo rovesciamento di posizioni; lo hanno martirizzato in nome nostro, e noi, grazie a lui, troviamo un poco della nostra fierezza, siamo fieri che sia un francese”.
Opposta è la nostra reazione davanti allo scandalo di Bagdad.
Nei volti della sorridente abiezione dei torturatori vediamo riflettersi nello specchio tutta intera la nostra vergogna, la complicità di aver voluto essere ciechi.
Jonathan Alter, che nell’autunno del 2001 aveva scritto l’editoriale su Newsweek affermando che “anche un liberale può volgersi ad invocare la tortura”, ora scrive una penosa autocritica: “Troppe persone, e tra di esse io stesso, sono state compiacenti verso l’uso di tecniche psicologiche di interrogatorio che finiscono per allentare i vincoli ad un comportamento civile”.
Tutto qui.

La tortura non è una tecnica di interrogatorio ma è il sintomo di una patologia politica e culturale.
Sintomo di una malattia contagiosa, capace di espandersi. In Francia si parlava di “cancrena”. La metastasi dall’Algeria minacciava l’Esagono, la cultura e la forza dei colonnelli, delle squadre d’azione razziste marciavano verso Parigi.
La cancrena che oggi colpisce l’America (e l’Inghilterra) più che un contagio che degrada le nazioni si manifesta come una infezione che colpisce le relazioni internazionali e che ci conduce verso la tragedia di guerre mondiali razziste.
Nel caso algerino da un lato c’erano i colonnelli colonialisti torturatori e dall’altra c’era il Fronte di Li ...[continua]

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