Massimo Amato, docente di Storia economica presso l’Università Bocconi, ha pubblicato: Il bivio della moneta. Problemi monetari e pensiero del denaro nel Settecento italiano, Egea, 1999. Pubblichiamo il suo intervento al convegno “Il mutualismo oggi”.

Credo che uno dei modi per abbordare l’attualità che possano ragionevolmente evitare il rischio di restare invischiati nello squallore delle forme che essa normalmente assume, sia quello che consiste nel ricordare, e soprattutto nel ricordarsi, che un certo tipo di attualità ha la novità propria della ripetizione dell’uguale. In effetti, che anche le intenzioni migliori rischino di non mantenere nei loro sviluppi il livello di decoro iniziale, che qualunque iniziativa umana corra il rischio di impietrirsi nella ripetizione formalistica di un’origine nobile ma ormai non più viva -che, insomma, gli uomini siano sempre sul punto di scivolare da altezze duramente conquistate- è una possibilità costante della vita politica e istituzionale.
Si tratta di una possibilità ancora più forte qualora lo scandalo dato in pasto al meccanismo antropofago dell’attualità e della “lotta politica” non consista tanto in azioni quanto in omissioni, e in particolare in un difficilmente negabile allentamento del rapporto con una radice. Quando, per venire a questi giorni, appaiano in tutta la loro urgenza e legittimità due semplici domande, che suonano, rispettivamente: che rapporto c’è fra finanza e cooperazione -queste due forme così nettamente caratterizzate e separate, di rapporto capitalistico con il denaro la prima, e di dedizione solidaristica al lavoro la seconda? E soprattutto, che rapporto dovrebbe sussistere fra loro, indipendentemente dal fatto che il loro rapporto rientri nell’ambito delle azioni consentite dalla legge?

C’è dunque da chiedersi: che cosa, al di là degli effetti di superficie, è davvero e profondamente in gioco in un momento come questo, in cui non solo la portata e la legittimità dell’attacco al “mondo cooperativo”, ma addirittura l’origine di questo attacco resta non del tutto chiara? Che cosa, al di là degli obiettivi polemici immediati, davvero colpisce in tale attacco?
Ebbene, ciò che mi colpisce è soprattutto la difficoltà che lo stesso mondo cooperativo manifesta nell’organizzare una risposta che non sia una ripetizione assertiva e autoreferenziale della propria ormai non più così evidente diversità. In effetti, ciò che è in gioco, e non da oggi, e quindi non può essere dato per acquisito, è proprio la radice di tale asserita diversità -e in realtà, ancora di più, la capacità attuale del mondo cooperativo di mantenere, se non addirittura di istituire un rapporto rinnovato con essa.
Il movimento delle società di mutuo soccorso ha storicamente a che fare con la fondazione di un rapporto improntato a dignità fra “pane” e “lavoro”, ma anche quindi fra lavoro e denaro (“allevia la miseria, dà pane e lavoro”, recita il motto di una moneta cooperativa dell’Austria degli anni Trenta, su cui ritornerò). Tutto ciò è innegabile. Ma come si deve porre oggi questa stessa questione del rapporto della cooperazione con le sue radici storiche? E prima ancora, a quali condizioni può essere davvero riconosciuta come una questione da porre, e non come un’origine nobile da esibire alla bisogna?
Il conflitto fra una “superiorità morale” costantemente ribadita all’avversario sul piano dei principi e una indistinzione di fatto sul piano dell’esercizio del potere è probabilmente vecchia quanto la politica moderna; ma è particolarmente bruciante per quanto riguarda il “movimento operaio”. La questione è in effetti la seguente: come si pone il problema, non solo della rappresentanza, ma anche e soprattutto dell’organizzazione e del potere, all’interno di un movimento la cui ragion d’essere è esplicitamente e radicalmente la liberazione degli esseri umani da gioghi tanto più ingiusti quanto più appaiono come non necessari? La questione è centrale, dal momento che ne implica un’altra ancora più delicata: quale giogo invece non può essere sciolto, ma invece liberamente assunto, e in che modo? Che forma deve assumere l’autorità là dove è in gioco la liberazione?
Come dicevo, il dilemma e lo scandalo possono essere abbordati tanto più adeguatamente quanto meno ci si faccia abbagliare dal clamore dell’ultima notizia. Facciamo dunque un passo indietro fino al dicembre 1903, in Francia. La questione, proprio questa precisa questione della diversità costitutiva de ...[continua]

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