Il sostegno, più spesso palese, talvolta silenzioso, delle comunità ebraiche italiane alla guerra di aggressione di Israele in Libano, a Gaza e nei territori palestinesi occupati della Cisgiordania è un fatto politico gravissimo. Per aggiungere problema a problema, dette comunità si arrogano per di più il diritto di rappresentare gli “ebrei italiani”. Ma chi sono gli “ebrei italiani”, e in generale gli ebrei, nella diaspora e in Israele? Contarli non è semplice, perché occorrerebbe intanto definire chi lo è: non vi è coincidenza, ad esempio, fra la legge halachica, la norma che decide chi può iscriversi ad una comunità ebraica, e ciò che più segnò l’ebraismo europeo del ventesimo secolo, il nazifascismo e le leggi razziali. In Italia, per rispondere alla domanda, si verifica quanti sono gli iscritti alle comunità ebraiche. Se per la legge ebraica, rispettata dagli ortodossi, ebreo è chi è figlio di madre ebrea, per iscriversi alle comunità questo non basta: occorre non aver cambiato religione (viceversa, è possibile iscriversi anche a chi non ha madre ebrea, a chi si è convertito con l’approvazione del rabbinato ortodosso).
Mussolini aveva reso obbligatoria l’iscrizione degli ebrei alle comunità ebraiche, e questa norma razzista è stata eliminata solo una ventina di anni fa. Da allora, il numero degli iscritti è in continuo calo. Un fenomeno di segno contrario è rappresentato dal formarsi di una comunità ebraica “Reformed”, a Milano, e dal congregarsi dei laicissimi “Humanistic Jews”. I Reformed, ed ancora di più gli Humanistic Jews, accettando come ebrei anche i figli di (solo) padre ebreo, e ammettendo fra le loro fila più facilmente i convertiti di quanto non facciano gli ortodossi, accentuano una tendenza fondamentale: quella di considerare ebreo chi vuole essere considerato tale. (Se si seguisse l’halachà pura e semplice, occorrerebbe considerare ebrei don Milani, Lustiger, l’arcivescovo di Parigi divenuto cardinale, e, fra i condannati a morte dai nazisti, la suora cattolica Edith Stein).
La diminuzione del numero di ebrei non è un fenomeno solo italiano: è anche statunitense, dove il sistema per valutare gli aderenti alle varie religioni è diverso dal nostro, basandosi su interviste telefoniche, condotte ogni pochi anni, in cui si chiede quale fede l’interlocutore ritiene più vicina alla propria.
Stante che Israele si definisce lo “Stato ebraico”, la sua normativa entra prepotentemente nella definizione di “chi è ebreo”; questa ha lo scopo di preservare il vantaggio demografico, in Israele, di “chi non è arabo” rispetto a chi lo è. Secondo la cosiddetta Legge del Ritorno, può accedere al privilegio di ottenere la cittadinanza israeliana all’arrivo all’aeroporto chi sarebbe stato considerato ebreo dalle leggi hitleriane, vale a dire chi ha un/a nonno/a ebreo/a. Negli anni ‘50, questa legge fu modificata, richiedendo che l’aspirante non avesse aderito a un’altra religione (ciò che per i nazisti non presentava alcun interesse); stante i perduranti incubi demografici di Israele, però, questa è una richiesta che si è teso a lasciar cadere: la maggior parte degli ebrei russi, arrivati dopo l’89, sono ebrei solo di nome. L’essenziale, per lo Stato di Israele, è che non siano arabi.
La definizione di chi può avere tutti i privilegi che lo stato di Israele riconosce agli ebrei, in altre parole, non è halachica, ed è molto più ampia di quella prevista da tale normativa religiosa: vi sono israeliani che hanno ottenuto la cittadinanza in base alla Legge del Ritorno, pur non essendo considerati ebrei dal rabbinato -con la conseguenza che in Israele, dove non esiste il matrimonio civile, non possono sposarsi se non convincendo un imam o un sacerdote cristiano di buona volontà. Nella pratica, questo significa che, per lo stato di Israele, e quindi -data l’importanza di tale Stato per le comunità ebraiche- per gli ebrei tutti, nell’attribuire la qualifica di ‘appartenente al popolo ebraico’, conta prevalentemente la definizione hitleriana. Tuttavia, non tutti coloro che sarebbero stati definiti ebrei da Hitler hanno voglia di essere considerati tali, e, se l’adesione alle comunità ebraiche è libera, come da una ventina d’anni è anche in Italia, queste raggruppano solo una parte degli ebrei -senza che questo le distolga minimamente dal considerarsi, e dal dichiararsi, rappresentanti di tutti.
Mentre il numero di coloro che si considerano ebrei diminuisce, si evidenziano altri due fenomeni, classificab ...[continua]

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