Indipendentemente dai risultati delle elezioni non credo che la sinistra abbia finito di perdere. Un preoccupante segno è dato dalla bandiera che ha deciso di sventolare durante la campagna elettorale. La bandiera di “Samarcanda” ad esem­pio, la bandiera della “gente comune” tradita dal palazzo, messa a tacere dall’arroganza di un potere miticamente conce­pito come cricca di irresponsabili affaristi. Tatticamente questa semplificazione brutale può anche risultare vincente e, in sede elettorale, si trattava probabilmente di una scelta obbligata. Tuttavia qualche perplessità rimane. Quella ban­diera, occorre dirlo con franchezza, è la stessa bandiera sventolata con ben maggiore energia e convinzione da tutte le destre, quelle trasversali come quelle “etniche”, quelle picconatrici come quelle moderate. La “gente comune” stufa, in­dignata, incazzata (il turpiloquio è d’obbligo quando si simulano sdegni...) contro il “palazzo” sordo, avulso dalla re­altà, sordidamente dedito ai propri egoismi... Questa formula, che esprime un modo rozzo di leggere una realtà ben al­trimenti complessa, ha già vinto le elezioni. Non occorre essere informati dei risultati. In essa vi è uno strano ma ef­ficace cocktail di populismo e di anarchismo becero, di fascismo e di moralismo, di protesta generica e di conformi­smo reale. In molti lo hanno rilevato, pochi sembrano però sinceramente preoccuparsene. Pochi, troppo pochi, sono poi coloro che in questa torbida miscela hanno il coraggio di identificare il nemico - non il nemico attuale, ma il ne­mico venturo, quello che, a lungo termine, verrà ad avvelenare le nostre vite. E’ un nemico senza volto, come senza volto è il pubblico anonimo che quotidianamente si specchia nella televisione, trovandovi finalmente una identità immaginaria fatta di luoghi comuni, di sentimenti preconfezionati e di semplicissime equazioni intellettuali (si pensi, ad esempio, all’uso che si fa della storia e del dolore privato). Questo pubblico corteggiato, vezzeggiato e, soprattutto, profondamente rispettato, è l’ultima metamorfosi di quella sfera dell’”opinione pubblica” che era nata come istanza di controllo del potere politico. Questo pubblico pretende oggi di porsi come istanza sovrana. L’uso privato delle istitu­zioni di cui si sono resi responsabili i partiti e gli uomini di governo legittima questa sua aspirazione e rende credibile ciò che per esperienza storica è sempre stato la prova generale del fascismo: il sospetto generalizzato contro il mo­mento istituzionale come tale, l’appello alle piazze (Alan Bullock conclude il suo racconto delle settimane che segui­rono le ultime elezioni al Reichstag evocando l’immagine suggestiva della “strada” che finalmente era giunta alle leve del comando). La tanto conclamata crisi delle ideologie -che costituisce la nostra specifica ideologia- non lascia poi al­cuna chance ad una qualche interpretazione della realtà che si discosti dalle banalità del senso comune ( ci sarebbe da aprire una lunga parentesi su quanta ideologia e cattiva coscienza vi sia dietro la richiesta di liberare l’informazione dall’invadenza della politica: l’esperienza americana insegna come una informazione de-ideologicizzata, “neutra”, coin­cida di fatto con la disinformazione più assoluta, con la cecità della cronaca e con una propaganda divenuta invisibile). Cesarismo e potere carismatico bene si sposano infine con questa aspirazione della “gente comune” al protagonismo. Non si tratta di uno scenario catastrofico ma, a ben guardare, del nostro presente, dove sempre più frequentemente di­battiti televisivi si sostituiscono alle aule dei tribunali e disinvolti servizi giornalistici fanno le veci della ricerca sto­rica. Gli studiosi della comunicazione spiegano questa trasformazione facendo riferimento alle tecnologie elettroniche che esaltano il momento della immediatezza e della presenza a scapito di quello della riflessione e della critica. La te­levisione come immensa agorà restituirebbe così alla retorica, al discorso che persuade facendo leva sulle passioni elementari, quel primato che le era stato sottratto con la nascita della dialettica e del pensiero critico (fondato sul me­dium silenzioso della scrittura). Posti di fronte a questo scempio “democratico”, occorre resistere alla tentazione di fare della sinistra il baluardo dell’umano identificandolo senza residui con ciò che questa trasformazione antropologica av­rebbe compromesso. Involontariamente si sarebbe ancora comp ...[continua]

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