Ho letto spesso con interesse sulle colonne di “Una città” gli interventi e le interviste di Ivan Zattini, di frequente tesi ad illustrare motivi inerenti al pensiero orientale. Nulla da obiettare; credo anzi che ciò possa svolgere una funzione meritoria, soprattutto se si è convinti con Zattini della colpevole trascuratezza dell’occidente nei confronti dell’altra metà del globo. Condivido ancor più questa sua convinzione se, come lui suggerisce di fare, con tali designazioni non s’intendono zone geografiche, bensì “luoghi dello spirito”, se comprendo adeguatamente, territori concettuali e categorie utili alla riflessione. E tuttavia lo scopo del discorso di Zattini non mi pare quello di proporre un incontro tra due tradizioni culturali... Nelle affermazioni di Zattini s’avverte un tono di risentimento nei confronti della tradizione occidentale, vera fonte della nostra odierna dannazione. Certo, non credo che Zattini voglia condannare tutte le forme della cultura occidentale, ciascuna di esse nessuna esclusa, bensì una caratteristica predominante del nostro patrimonio spirituale che avrebbe offerto le sue prove più mature negli ultimi due secoli. Insomma, la critica di Zattini è rivolta anzitutto ad un presunto tratto peculiare della nostra cultura: la tendenza a sfociare nella tecnica vedendo in essa la propria manifestazione  fatale e letale. Ciò consente peraltro di individuare in occidente importanti precursori, o presunti tali, di questo modo di rapportarsi all’insieme della nostra cultura; in particolare si enfatizzerà una vena di pessimismo radicale nei confronti della ragione, capace (sia pure in estrema sintesi) solo di rifondere nella tecnica il senso dell’uomo nel mondo. Sorvolando su alcune forzature, quasi figlie di un luckàcsismo rovesciato, diverranno senz’altro maestri positivi i filosofi per i quali la ragione occidentale servirebbe solamente ad assoggettare la natura all’uomo, diventando mero strumento per l’esercizio di una violenza addirittura catastrofica per la sopravvivenza del pianeta. Almeno in un punto di grande importanza questa argomentazione non convince e non sembra rendere giustizia al cosiddetto “pensiero della tecnica”, visto che con questa mitica categoria si intende designare il nocciolo autentico del pensiero occidentale. Quest’ultimo è infatti l’unico che - a quanto mi consta - abbia talvolta cercato di vedere nell’uomo qualcosa di più di un riverbero metafisico. E spesso proprio in virtù dell’enfasi posta sulla tecnica. Ricordo, ad esempio, Eraclito, col suo invito a scorgere nel logos  qualcosa di comune a tutti gli uomini; e Gorgia, che ripudiando ogni decisione metafisica vedeva in un linguaggio divenuto tecnica la residua possibilità dell’uomo di sopportare l’enigma della vita prendendo dimora in un’incerta dimensione civile; e ancora Socrate, che nella tecnica dialogica riponeva le speranze del rinnovamento della convivenza politica. Insomma, quello stesso pensiero della tecnica spesso vituperato è spesso stato, sin dalle sue origini, insieme un pensiero del Tu oltre che un tentativo di dominio della natura, e credo anzi sia stato espressione di passione umana prima che adesione a paradigmi metafisici. Finanche nelle sue espressioni più assolutiste e violente, come in Hegel. Forse il motivo di ciò risiede nel fatto che la tecnica non è che l’espressione culturale dell’atteggiamento che contraddistingue l’uomo nel mondo della prassi, nel mondo comune all’Io e al Tu. Viceversa la Tecnica (quella mitica, il demone dell’occidente) è solo immagine iperbolica, uno dei risultati di questo pensiero e non la sua essenza umana e dialogica.
  Mi pare quindi improprio giudicare l’intera matrice culturale dell’occidente facendo esclusivo riferimento alle iperboli che predominano nella nostra situazione epocale: questa sì incapace di salvaguardare, prima che la natura, le diversità degli uomini, avendo smarrito i lumi fiochi di quell’intelligenza che dovrebbe rischiarare i rapporti tra l’individuo e il suo ambiente di vita. E inoltre, mi pare opportuno riflettere sul fatto che - al di là delle buone intenzioni - la proposta di sostituire all’occidente identificato con la sua faccia più cupa, un oriente assolutamente estremo, potrebbe determinare un trapasso fatale dal dialogo tra l’uomo al monologo che incombe sull’uomo, cioè la sospensione ultima e definitiva del mondo della prassi e la conseguente chiusura solipsistica e passiva in vista di un avvento della Verità. ...[continua]

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