Lunedì 8 novembre ’93 ho avuto un lutto in famiglia. Fino a tarda notte è squillato il telefono. Hanno chiamato da lontano gli amici e i conoscenti per farmi le condoglianze. L’indomani sui giornali c’erano i necrologi e le foto. In queste foto, nonostante gli anni, sembrava giovane, snello e sano. Non era ancora tempo per morire, quando se ne vanno quelli che amiamo, è sempre troppo presto, ma quando muoiono di colpo, di morte non naturale, il dolore è più profondo, acuto, persistente. Sopra le verdi acque di Neretva, vivaci come le puledre ed eterne come la vita, in profonda vecchiaia è stato vergognosamente massacrato il più visto e vecchio cittadino di Mostar. Sul luogo dove è nato e vissuto 427 anni, dignitosi e ben portati, amoreggiando con Neretva e facendo amicizia con gli uomini. Nell’estate scorsa l’hanno ferito i “non nuotatori” della riva sinistra e, finito il lavoro sporco, i “non nuotatori” della riva destra. Suonatori di “gusle” (1) e i cantanti di “gange” (2), gente di mente oscura e non abituata ai ponti, ai fiumi e alla città, dalle quali sempre fuggiva e che, nei tempi propizi, saccheggiava e poi distruggeva e bruciava per nascondere le tracce dei misfatti compiuti.
Poche città al mondo si sono identificate con le loro costruzioni più belle come Mostar col suo Ponte, che chiamava chissà perché “Vecchio”, nonostante fosse lui più giovanile e immacolato di tutti gli altri ponti della città. Per la “funzione” era come tutti gli altri ponti, un loro fratello, ma, per l’età, era un bisnonno. Tutti i fratelli minori hanno fatto scomparire davanti agli occhi del più grande e amato. Lui, Stari Most, li ha accompagnati con tristezza. E’ grande giustizia ma scarsa consolazione che siano tutti insieme nell’abbraccio dell’Unica che hanno amato. I ponti sono i più fedeli amanti sotto la cupola celeste.
I ponti si fanno per non dovere compiere un lungo percorso, scorciatoia per arrivare prima dove si voglia andare. Con loro le sponde si danno la mano e si maritano. I ponti sono le anime pietrificate degli arcobaleni nati e morti sulle acque. Nessuna delle costruzioni pensate con la testa e col cuore dell’uomo ha tanta “anima” quanto il ponte. Nessuna gli è tanto vicina. Il ponte è dell’uomo il cugino più prossimo. I cugini sono tanti e a volte si somigliano molto gli uni agli altri. Lui somigliava solo a se stesso o alla curva lunare che si rispecchia nelle acque di Neretva nelle notti silenziose. Tutti i ponti, con le radici sanguinanti di cemento o ferro, si annidano e crescono sulle rive. Solo Stari Most è cresciuto e vissuto nel verso:                
“Questo ponte è come il semicerchio dell’arcobaleno,
Esiste qualcosa di simile al mondo, Dio mio?”
Così è scritto sulla prima pietra posta alle fondamenta nel 1566. Questo ponte lo portò, nella testa e nel cuore, Hairudin, costruttore di ponti ma poeta nell’essenza. Lo portò dalla Persia. Percorse terra e mari fino a farsi calli ai piedi, attraversando montagne e bagnandosi nei fiumi. E soltanto là, tra le sponde scoscese di Hum e Velez, sulla selvaggia e misteriosa acqua di Neretva, decise di dare carne al suo sogno. Per questo Stari Most non è solo strada di pietra sull’acqua. E’ un sonetto di pietra bianca e tagliata, chiamata “Tenelia”(3), sulla Neretva. Più poesia che ponte. La sera prima che il ponte si liberasse e fosse consegnato festosamente alla vista e all’uso degli abitanti, quell’anno 1566, Hairudin, segretamente e senza ritorno, lasciò la città. Il ponte non vedrà mai. Lo spaventò forse l’incontro con la bellezza che aveva creato, la paura che quel sogno, troppo alto e troppo snello, svanisse nel fiume. O forse era geloso dell’opera sua, che vivesse più a lungo di lui. Non si sa. Quanti sono venuti dopo e hanno guardato Stari Most, sono rimasti abbagliati dalla bellezza. I poeti l’hanno cantato, i narratori narrato, pittori dipinto, la gente, come la gente, vi ha camminato. Per primo ne ha scritto il viaggiatore e scrittore Evlia Celebia: “Ecco, si sappia, che io, umile e povero schiavo di Dio, Evlia, visti e percorsi sedici regni, un così alto ponte, che sovrasta due rocche guizzanti verso il cielo, mai ho visto.” L’ameranno e proveranno stupore i viaggiatori e passanti nel corso dei secoli. Nell’Ottocento Bozur e Somet, scrittori. Un secolo prima, nel viaggio verso l’Oriente, il francese Bulè scriveva: «Per costruzione è più audace ed ampio del Ponte Rialto a Venezia, nonostante il ponte di Venezia sia da tutti considera ...[continua]

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