Pubblichiamo la relazione di Ada Lonni al convegno conclusivo del percorso di seminari “Ripensare la cittadinanza. Convivenza, cittadinanza, appartenenza... quale lessico per quale futuro?”. Ada Lonni insegna Storia contemporanea all’Università di Torino.

Uno dei punti su cui dovremo lavorare a fondo negli anni a venire sul tema della cittadinanza, un tema così vasto, così vago e così importante, è quello del rapporto fra paura e coraggio, fra sicurezza e libertà. La nostra società, italiana ed europea, sta crescendo su quel modello americano che da decenni propone ai suoi cittadini la paura piuttosto che il coraggio. E’ un modello che sta costruendo dei cittadini intimoriti, che non hanno “il coraggio” di reagire, di lanciare delle sfide, di intraprendere dei percorsi nuovi. Noi stiamo andando nella stessa direzione: siamo ossessionati dalla minaccia alla sicurezza e dalla aspirazione al controllo. Se fate attenzione, abbiamo città -forse non ancora Torino, ma certamente Milano e altre verranno- che si stanno trasformando in una somma di luoghi protetti, dove è difficile entrare, dove ci sono delle recinzioni… stiamo costruendo muri ovunque.
Questo processo trae origine e si alimenta, a mio parere, da informazioni false, e pilotate. Per esempio, si parla tutti di mondializzazione, di globalizzazione, come se fossimo di fronte a qualcosa di nuovo. Da storica posso affermare che la mondializzazione non è assolutamente un fenomeno nuovo. Forse questo è un momento in cui la mondializzazione è più accentuata, ma non è nuova e non è al di fuori delle possibilità di controllo e di gestione: è una fase recente di un processo secolare: la prima mondializzazione fu nel Settecento con l’epoca mercantile; il secondo grande momento di mondializzazione fu nell’Ottocento con la nascita del turismo di massa. E quella attuale è una terza fase di grande circolazione: di merci, di capitali e di persone.
C’è un aspetto che caratterizza tutti questi periodi, una cosa molto importante, che è un po’ all’origine delle paure di cui ho parlato prima. Si garantisce la libera circolazione, si garantisce la mondializzazione, ma solo per alcune categorie. Già nel Settecento si operarono differenze molto nette. Circolavano gli artisti, i musicisti per tutte le corti europee, circolavano i mercanti, ma si faceva di tutto per evitare la circolazione della gente comune, di quelli che potevano portare disordine o idee che non piacevano e su queste categorie si esercitava un controllo rigoroso. La grande apertura dell’Ottocento, i primi viaggi organizzati in Medio Oriente furono veramente un grande cambiamento, ma ancora una volta un cambiamento per pochi, un cambiamento di élite. Per andare in Medio Oriente si muovevano religiosi, scrittori, artisti, ma non la massa, il popolo. Anzi, la massa che circolava, o meglio che incominciava a muoversi, si dirigeva verso le Americhe; e in tempi molto brevi si vide limitata dalle quote; le frontiere si chiusero; la mobilità si ridusse. Oggi vediamo circolare le merci, i capitali, ma sulla circolazione delle persone si cerca di esercitare come sempre un controllo.
E’ l’eterna lotta tra nomadi e sedentari. Chi è stanziale e ha costruito lo stato sta erigendo tutta una serie di barriere contro i nomadi che incarnano la creatività, la novità, quella novità che ci permette di ricostruire, di modificare, di aggiornare, inventare. Stiamo creando una società segnata da muri e da confini e lo facciamo a tutti i livelli. A livello cittadino, ma anche a livello continentale. Pensiamo a quello che sta succedendo sulle sponde Sud del Mediterraneo: con fantasie alimentate da pregiudizi su un’alterità culturale e religiosa irriducibile, noi stiamo militarizzando il Mediterraneo, facendone un confine insormontabile, un confine artificiale come d’altra parte tutti quelli creati dall’uomo. Perché, dal punto di vista naturale, questo mare non è una separazione ma un elemento di congiunzione e noi lo stiamo modificando, stiamo intervenendo su quella che è la natura facendo incarnare al Mediterraneo la frattura globale che c’è fra Nord e Sud, e tentando di renderla permanente. I muri si costruiscono, ma sono poi molto difficili da abbattere. L’Europa sposta a Sud i suoi confini incaricando altri, gli stati del Nord Africa, di fare i gendarmi e dando loro in cambio sostegni economici, militari, e il riconoscimento dell’appartenenza alla scena internazionale. In realtà stiamo costruendo un altro muro.
Manc ...[continua]

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