1 ottobre 2011. Un libro su Alex Langer
In un libro su Alex Langer, Fare ancora (Edizioni alphabeta 2011), fra le tante testimonianze, anche molto belle, ne appare una dello scrittore Erri De Luca, che senza professarsi pacifista, dice che per la Bosnia si era trovato sulle stesse posizioni "non interventiste” di Alex. Scrive: "In Bosnia condividevo la posizione di Alex Langer” perché "lì un intervento militare esterno avrebbe dovuto scegliersi un nemico da un lato e un alleato dall’altro, tra le varie situazioni di conflitto in corso”. E continua: "Poi ho saputo che si era convinto del contrario, della necessità di un intervento della Nato. Non ho fatto in tempo a litigare con lui su questo, a rompere un’amicizia. Perché sulle guerre è giusto rompere le amicizie”.
Non capiremo mai come si possa continuare a sostenere che non sia stato giusto l’intervento Nato in Bosnia (perché "avrebbe aggiunto guerra alla guerra”) dopo che pochi giorni di bombardamenti, quasi senza provocare vittime, hanno fatto finire un assedio di tre anni e mezzo, durante i quali i bombardamenti e il cecchinaggio quotidiano hanno causato, fra la popolazione civile, circa dodicimila vittime e cinquantamila feriti; dopo che i serbi, violando l’accordo che aveva reso Srebrenica "zona protetta”, erano entrati in città e avevano sterminato tutti i maschi dai quattordici ai sessantacinque anni; dopo che nei racconti dei sopravvissuti sono emersi i dettagli della ferocia della pulizia etnica. La cosa diventa addirittura grottesca nel caso di chi, come Erri de Luca, è tutt’altro che un non-violento integralista; nello stesso scritto, infatti, non rinnega affatto il suo sostegno alle guerre rivoluzionarie comuniste di mezzo mondo, compreso, immaginiamo, quella dei Khmer rossi cambogiani; il tutto per "non dissociarsi da se stesso”, che sembra essere il suo unico problema.
Fin qui che dire? L’arroganza intellettuale, che piega i fatti alle opinioni e impedisce di tornare sui propri passi, è un problema solo di chi ne è affetto. La cosa che non si può proprio fare, però, è piegare alle proprie opinioni le motivazioni del suicidio di un uomo e della sofferenza che l’ha preceduto, con noncuranza, senza conoscerle e senza documentarsi. Scrive De Luca: "Mi resta la convinzione che si sia disperato per la decisione di rinnegare la scelta pacifica. Quello era il suo traguardo di umanità raggiunta, di antica radice di ragione presente in lui fin da ragazzo e sospesa negli anni rivoluzionari. L’aveva ritrovata, rianimata ed era arrivato a rappresentarla. Invece la tradiva, scegliendo di aderire al partito dell’intervento militare. Era la sua bandiera e l’aveva perduta. Non ha voluto spiegare cosa lo stava disintegrando dall’interno. Per quello che conosco di lui e che ricordo, credo che si sia ammazzato per un torto irreparabile commesso contro se stesso”.
Questa interpretazione del suicidio di Alex come atto di pentimento e di smarrimento per aver "tradito” il proprio pacifismo, accampata senza l’avvallo di alcun indizio, per il solo desiderio di dare autorevolezza alle proprie opinioni, contrarie, per di più, a quelle di Alex, è del tutto inaccettabile.
Purtroppo, però, lo sappiamo, corre.
Ci appelliamo quindi a Edi Rabini, il collaboratore e amico fraterno di Alex: lui che può, faccia finire questa diffamazione di Alex e di "ciò che era giusto” per lui. (gs)

2 ottobre 2011. Crisi
A settembre sul Secolo XIX, il quotidiano di Genova, sono comparsi dati allarmanti sugli effetti della crisi, in particolare sugli anziani, che in molti casi vivono in appartamenti di proprietà, ma in condizioni economiche che non permettono loro di curarsi, né di far fronte alle spese ordinarie e straordinarie. Sempre più spesso queste persone sono portate a vendere il proprio alloggio con la formula della "nuda proprietà”, esponendosi al rischio di cadere vittime di un mercato aggressivo e a volte privo di scrupoli. Genova oggi detiene il record in Italia degli anziani costretti a ricorrere a quest’estrema misura. In città ci sono 1.600 anziani in coda per un posto in una residenza protetta e altre 400 persone in attesa, in ospedale, che si liberi un posto analogo. La gravità della situazione è segnalata anche dai dati dell’Agenzia del Territorio: nel 2009 (che è l’ultimo anno disponibile) sono passate di mano, in Liguria, 1.418 case col meccanismo della nuda proprietà, pari al 6,7% del totale. Vendere la casa alla banca, però, non è stata l’unica soluzione adottata. In alcuni casi, possessori di casa con reddito basso e anziani privi di famiglia e di casa, ma con un buon reddito, hanno dato vita a forme di convivenza.

3 ottobre 2011. Infermiere
Gardiner Harris, sul New York Times, ha scritto un lungo pezzo su un problema che si sta crean­do in alcuni ospedali americani, laddove le infermiere, dopo aver fatto corsi di dottorato, si presentano ai pazienti dicendo: "Sono la dottoressa tal dei tali. La sua infermiera”.
I medici hanno subito visto con diffidenza questa corsa al titolo di "dottore”, un termine che per secoli ha definito una precisa figura professionale. Il timore -dicono- è che i pazienti facciano confusione. In realtà, attorno all’appellativo di "dottore” ruota tutta la questione del prestigio, del potere e dei soldi. I medici, vista la lunga e costosa formazione che hanno seguito, vogliono in qualche modo l’esclusiva. Le infermiere, dal canto loro, ribattono che anche loro sono perfettamente in grado di fare alcune diagnosi e di prescrivere farmaci, anche perché il loro percorso formativo, nel tempo, è diventato più lungo e approfondito. È partita così una battaglia, anche legale, per restringere la categoria degli aventi diritto all’ambito titolo. Al senato dello Stato di New York è stato presentato un disegno di legge che impedirebbe alle infermiere di farsi chiamare "dottore”, anche se hanno conseguito un dottorato. In Arizona, in Delaware e in altri stati questo divieto è già in atto. Intanto, alcuni studi hanno dimostrato che le infermiere col master, a livello di cure primarie, spesso sono altrettanto -se non più- competenti dei medici. E non pochi pazienti hanno confessato di preferire le cure prestate dalle infermiere. D’altronde oggi, in ventitré stati americani (quelli di montagna o comunque meno ospitali: dove i medici non ambiscono ad andare) le infermiere possono già operare senza la supervisione dei medici. (www.nytimes.com)

5 ottobre 2011. Marciapiedi tedeschi
Con l’amico Bernd si parlava dell’intervista dove Cammelli cita l’usanza del commerciante di pulire il portico di fronte al proprio negozio e ci ha detto che in Germania c’è l’obbligo, e la responsabilità, per ogni casa o palazzo, di spalare la neve dal marciapiede che costeggia l’edificio. E se oggi gli abitanti ricorrono sempre più spesso a ditte su cui scaricare, a pagamento, la responsabilità, resta molto in uso anche l’autogestione del compito, con i residenti che si prendono ognuno la responsabilità per una settimana. Si usa un cartellino che resta appeso per  sette giorni alla porta dell’abitazione di turno. Dopodiché gli inquilini "che smontano” lo appendono alla porta degli abitanti che hanno in carico la settimana successiva. Funziona molto bene, salvo con i turchi, il che è motivo di attrito etnico. Ci si chiedeva se, non potendo votare, pur essendo lì da decenni, i turchi sentano meno proprio il marciapiede.

11 ottobre 2011. Morire di carcere
Un detenuto tunisino di 35 anni si è impiccato nel carcere "Pagliarelli" di Palermo.
Nelle carceri siciliane è il quarto suicidio di un detenuto dall’inizio di settembre, il secondo a Palermo nell’ultimo mese. A togliersi la vita è stato Mohamed Nahiri, 35 anni.
L’uomo si è impiccato domenica. Intorno alle tre, Nahiri ha afferrato il lenzuolo della sua branda, l’ha bagnato e si è impiccato alle sbarre della finestra del bagno. I suoi sette compagni di cella si sono accorti di quanto accaduto solo ieri mattina, quando non c’era più nulla da fare. Il magistrato di turno non ha ritenuto necessario disporre l’autopsia.
Mohamed Nahiri era arrivato al Pagliarelli nel maggio scorso. Ad Augusta, dove era rinchiuso dal 2007, aveva avuto alcuni problemi con gli altri carcerati e con il personale penitenziario che avrebbe aggredito in più di un’occasione. Finito in cella per l’omicidio di un connazionale a Roma, sarebbe uscito nell’ottobre del 2019. Neanche al Pagliarelli Nahiri aveva intrecciato buoni rapporti con i compagni, tanto da essere trasferito qualche settimana fa in un’altra cella, nella quale dormivano in otto.
Da inizio anno sale a 146 il totale dei "morti di carcere”: 50 detenuti si sono suicidati, uno è stato ucciso (il ventiquattrenne Abbedine Kemal, "pestato” nel carcere di Opera il 23 giugno scorso da persone non ancora identificate e poi deceduto in ospedale per le ferite riportate), 29 sono morti per "cause da accertare” e i restanti 66 per "cause naturali”.
(Ristretti Orizzonti)

15 ottobre 2011. Checkpoint
Nel luglio 2011, Lancet ha pubblicato un rapporto dal titolo "Childbirth at checkpoints in the occupied Palestinian territory”, di Halla Shoaibi. Dal 2000 al 2007, ogni anno il 10% delle donne palestinesi incinte è stato fermato ai checkpoint, ritardando il loro viaggio verso l’ospedale. Le conseguenze di questi ritardi sono state 69 nascite ai checkpoint, la morte di 35 neonati e di cinque mamme. Le leggi nazionali e internazionali non sono chiare sulle conseguenze di un procurato ritardo nell’accesso delle donne incinte all’ospedale. Dall’aprile 2005, la Commissione delle Nazioni Unite sui Diritti Umani ha iniziato a interessarsi alla questione delle donne palestinesi costrette a partorire ai checkpoint.
Tale restrizione alla libertà di movimento ha avuto come conseguenza un incremento nei parti in casa; i dati riportano che se nel 1999, l’8% dei parti avveniva in casa, nel 2002 il tasso era passato al 33%, con evidenti rischi per la salute della donna e del bambino.
Ostacolare il passaggio delle donne palestinesi, con il conseguente aumento di parti presso i checkpoint stessi o lungo la strada verso l’ospedale, rientra nei "crimini contro l’umanità” così come definiti dallo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale quando stigmatizza "qualsiasi azione umana che intenzionalmente causa sofferenza o danno al corpo o alla salute fisica e mentale” e il "diffuso o sistematico attacco diretto contro qualsiasi popolazione civile”.
(www.thelancet.com)

16 ottobre 2011. Lotta alla povertà
In Francia è aperta la caccia ai poveri, riporta Libération. Venerdì scorso il comune di Marsiglia ha firmato un decreto di divieto di mendica e di accattonaggio in tutto il comune. Nello stesso spirito a Nogent-sur-Marne, nella Regione parigina, è stato firmato un decreto che vieta di rovistare nelle immondizie. Stessa cosa a La Madelaine, nel nord del Paese: nell’agosto scorso il comune ha emesso un’ordinanza anti-accattonaggio -emblematicamente tradotta in rumeno e in bulgaro- e contro chi rovista nell’immondizia.
(www.liberation.fr)

16 ottobre 2011. Filantropia
Al Qaeda decisamente non è nota per le sue attività filantropiche, ma -ci spiega Jeffrey Gettleman sul New York Times- questa settimana, in Somalia, il gruppo terrorista sembra aver intrapreso una nuova strada, quella appunto dell’aiuto umanitario.
Qualche giorno fa, in uno scenario surreale, un uomo con il viso coperto si è presentato in un accampamento di disperati annunciando di essere venuto in nome di Ayman al-Zawahri, il leader di Al Qaeda. La campagna di solidarietà, intitolata al "martire Bin Laden” si propone di fare beneficenza ai bisognosi.
L’emissario, Abu Abdulla Almuhajir (che tra l’altro è risultato essere un bianco che parla un perfetto inglese) ha spiegato che i "fratelli” di Al Qaeda avevano raccolto grano, latte in polvere e altri generi alimentari per la popolazione affamata e di essere stato mandato per portare un messaggio di solidarietà. "Anche se ci separano migliaia di chilometri, voi siete costantemente nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere” ha detto ai presenti.
È dal 1991 che la Somalia passa da una crisi all’altra. Secondo le Nazioni Unite decine di migliaia di persone sono già morte e si prevede che altre settecentocinquantamila muoiano di fame nei prossimi mesi.
Le aree più colpite sono controllate dagli Shabab, un gruppo armato che ha giurato fedeltà ad Al Qaeda e che ha bandito musica, calcio, reggiseni, impedendo ai gruppi umanitari occidentali di soccorrere una popolazione stremata da fame e sete. Il debole governo di transizione è abbandonato a se stesso nella capitale e accerchiato dagli Shabab su ogni lato. Sono sempre gli Shabab ad aver allestito questi campi -di fatto di prigionia (testimoni raccontano di gente caricata in autobus)- in cui si è presentato l’emissario di Al Qaeda.
L’episodio ha dunque sollevato più di un dubbio: cosa vuol fare Al Qaeda in Somalia?
Il governo somalo ha già espresso, tramite il ministro Abdulkadir Hussein Mohamed, la preoccupazione che questo sia l’ennesimo stratagemma per reclutare giovani disperati alla causa terrorista. Non pochi tra i somali intervistati la scorsa domenica a Mogadiscio si sono detti disgustati.
(www.nytimes.com)

16 ottobre 2011
L’amico libertario Antonino Lacava ci manda a dire: mai un anarchico ha messo il cappuccio nero.

17 ottobre 2011. Equitalia
Si legge sul Gazzettino che a un commerciante di abbigliamento del centro storico di Belluno, Equitalia ha pignorato anche le scaffalature, "scansie fatte su misura, invendibili, inutilizzabili”. E così ha dovuto chiudere i battenti con l’effetto che anche due dipendenti sono rimasti senza lavoro. A Bassano del Grappa la titolare di una stireria con 12 addetti, si è vista pignorare le macchine per stirare lenzuola e tovaglie di grandi alberghi e adesso vogliono portarle via anche i capannoni, con la prevedibile conseguenza che anche le operaie verranno mandate a casa. Ma le storie sarebbero tante. Le associazioni che si occupano di tutela dei privati cittadini da tempo denunciano, oltre alla "predilezione” di Equitalia per artigiani e piccoli imprenditori, i pignoramenti inutili, che hanno il solo effetto di distruggere, senza che poi l’Erario incameri per davvero quanto richiesto. E ora, l’ennesima ingiustizia: chi ricorre deve comunque versare il 30%, anche se ha ragione ed è vittima di un errore, spiega Paccagnella di Feder-Contribuenti Veneto. Per non parlare di quella voce onnipresente "maggiori spese” senza che sia mai specificato di cosa si tratta. "Quando chiediamo spiegazioni, allora le tolgono”.
(Il Gazzettino)

26 ottobre 2011. Ennahda
All’indomani dei risultati delle elezioni tunisine, che hanno visto la vittoria di Ennahda, tutti si interrogano sul significato del risultato. I militanti del partito islamico di Rached Ghannouchi appartengono a tutte le fasce sociali: giovani, classe popolare, laureati o classe media. "Ho deciso dopo il 14 gennaio. Perché spero che la Tunisia vada meglio, in tutti i settori. Gli altri partiti sono bugiardi, fanno promesse che non manterranno...”, dice Sonia, 33 anni, madre di due figli e operaia a Tunisi, truccata e senza velo ("non è obbligatorio”, spiega). Come lei Moustapha, autista di 62 anni in pensione: "Sono persone a posto. Hanno lavorato molto e hanno sofferto molto. Anche i miei figli la vedono così”. Negli anni Ottanta Ennahda è stato duramente colpito dal regime con ben 30.000 militanti imprigionati e torturati. Questo passato di violenza e repressione ha fatto molta presa sull’elettorato facendo dimenticare gli attentati e le aggressioni alle donne messi in atto dalle fronde più estreme del partito. "Ho scelto Ennahda perché hanno sofferto troppo”, dice Mohammed, 28 anni, tassista. "La forza di Ennahda è il suo passato. Sono credibili perché hanno saputo tener testa a Ben Ali per vent’anni”, dice Mohammed, 26 anni, elettore tunisino residente in Francia, figlio di un dirigente del partito. Ricorda ancora il suo primo interrogatorio: aveva cinque anni e la polizia politica lo schiaffeggiò per convincerlo a dire dove fosse il padre. Ennahda, pur essendo percepito come il partito della religione, ha saputo muoversi con destrezza anche rispetto all’elettorato femminile. La sua capolista nella seconda circoscrizione di Tunisi, Souad Abdelrahim, non è velata e veste tailleur con pantaloni. "Nessuno sarà obbligato a portare il velo. Ennahda difenderà i nostri diritti”, dice Fatma, 40 anni, residente a Ben Arous, roccaforte di Ennahda. "Io lavoro, guido, voto e porto il velo se voglio. Con Ben Ali era vietato, chi difende la libertà allora?”, aggiunge Kaouther, studentessa velata.
(Le Monde)

26 ottobre 2011. La signora di Piazza Bacone
Riceviamo da un’abbonata milanese:
Questa mattina sono passata dai giardini di piazza Bacone, a Milano, e alla panchina dove di solito è seduta la Signora che vive in piazza ho visto un grande telo di plastica. Ho subito pensato che la Signora, per il freddo, avesse trovato un altro posto dove dormire e che lì ci fossero solo i suoi "bagagli” protetti dalla pioggia. Dopo mezz’ora sono ripassata e ho visto due vigili, un uomo e una donna, parlare con la Signora. Ho proseguito nel mio cammino verso casa, ma sono poi tornata indietro. Mi sono avvicinata discretamente e mi sono presentata, dicendo che sono una mamma e una cittadina della zona e che ero lì per capire meglio la storia di quella Signora per la quale sono molto preoccupata, anche in vista dell’arrivo del freddo. Immediatamente capisco che sotto il telo di plastica fino a qualche minuto prima non c’erano i bagagli, ma c’era la Signora che dormiva e che i vigili l’avevano appena svegliata per verificare che stesse bene e per iniziare un lungo dialogo con lei… La Signora si chiama Maria, i vigili la conoscono molto bene e tutte le mattine cercano di  di convincerla ad accettare una sistemazione, almeno per la notte, in un centro di accoglienza al caldo. Maria è una donna di grande intelligenza, parla molto bene l’italiano e deve avere alle spalle una lunga storia, di viaggi, di sofferenze, di legami, di affetti… Parla di amici che l’aiutano, parla di un marito, parla di mamme e figli, racconta del Sud Africa, di sua mamma di origini francesi, di suo papà di origini italiane, racconta e dice che lei sta bene in piazza Bacone, che la sua casa è quella, che lei ama le foglie, il verde e l’aria, che a lei la pioggia piace… Nel frattempo, mentre Maria chiacchiera con me e con gli altri due vigili, arriva un terzo vigile: di nuovo cercano di convincerla che lì fa troppo freddo la notte, che sarebbe importante che per l’inverno, almeno di notte, lei dormisse al caldo… Le propongono di accompagnarla a ricercare una soluzione…
Maria oscilla, ringrazia per l’aiuto, ringrazia tutti gli amici che l’aiutano, ma… la sua casa è piazza Bacone, lei preferisce stare lì, magari un giorno… I vigili salutano Maria e le dicono che comunque loro restano in piazza, che ripasseranno e che, di qualsiasi cosa lei avesse bisogno, loro sono lì. Alla fine, i vigili mi chiedono se gradisco un caffè. Al momento di uscire dal bar, scopro che i due vigili hanno chiesto una tazza di latte caldo da portare via.
(Elisabetta Dodi)

27 ottobre 2011. Formazione
Sul Wall Street Journal, Peter Cappelli si è interrogato sul perché le imprese fatichino tanto a trovare i lavoratori di cui hanno bisogno. Nonostante un tasso di disoccupazione del 9% pare ci vogliano mesi per trovare una persona con le competenze richieste. è vero che il sistema educativo ha delle falle e che si è puntato su un’immigrazione di scarso valore, ma molta colpa è anche dei datori di lavoro, sostiene Cappelli.
Il problema è sempre quello: si vorrebbe qualcuno che fosse già capace di svolgere il compito assegnato. Ma così il fallimento è assicurato. "Trovare i candidati giusti non è come trovare i giusti pistoni per un motore”. Purtroppo invece qualsiasi addestramento sembra scomparso dai programmi delle imprese: il training ricevuto dai neoassunti nel primo anno si può misurare in ore. La scarsità di opportunità di formazione spiegherebbe anche il perché delle lunghe code per accedere a tirocini non retribuiti, se non addirittura pagati dagli stagisti: è ormai l’unica chance per fare un’esperienza di lavoro formativa. (www.wsj.com)
28 ottobre 2011. Stranieri
Nell’anno scolastico 2010-11 gli studenti iscritti alle scuole secondarie di secondo grado in Italia sono stati 2.663.684, di cui 2.510.171 italiani e 153.513 stranieri. Dalla comparazione tra le scelte scolastiche di italiani e stranieri emergono notevoli differenze nelle preferenze, che rendono ancora più evidente il fenomeno della "canalizzazione formativa” degli stranieri. Questi, infatti, si concentrano negli istituti professionali (62.080, il 40,4%) e negli istituti tecnici (58.340, il 38,0%), seguiti a distanza dai licei (28.675, il 18,7%). Gli italiani prediligono, invece, i licei (43,9%) e gli istituti tecnici (33,2%) e, in misura minore, gli istituti professionali (19,2%).
(Rapporto Miur - Fondazione Ismu sui ragazzi stranieri e l’istruzione superiore)

28 ottobre 2011. La comparsa dei nonni
Sull’ultimo numero de Le Scienze, in un lungo articolo, Rachel Caspari ci parla della comparsa dei nonni nella storia dell’umanità, azzardando l’ipotesi che proprio l’aumento del numero degli anziani potrebbe essere stato il fattore vincente degli umani moderni nella competizione con gruppi arcaici come i Neanderthal.
La ricerca si è avvalsa di tecniche sofisticate, in particolare dell’analisi dei denti fossili, un reperto molto utile per misurare l’età alla morte degli individui perché l’erosione prodotta dalla masticazione si accumula a un ritmo regolare nel corso della vita. Caspari ha preso dunque in considerazione il rapporto tra adulti anziani e giovani adulti, scoprendo a un certo punto un significativo aumento di longevità. Nello specifico ha scoperto che mentre, nel caso dei Neanderthal, a 10 individui morti giovani corrispondevano 4 morti anziani, nel Paleolitico superiore c’erano ben 20 potenziali nonni per ogni 10 giovani. La cosa interessante è che al marcato aumento di individui anziani corrisponde temporalmente (parliamo di circa 30.000 anni fa) una serie di cambiamenti, come l’emergere di nuove e sofisticate tradizioni culturali, e mutazioni genetiche vantaggiose che sarebbero legate proprio all’"effetto anziano”.
(Le Scienze)

29 ottobre 2011. The Sick Man of Asia
"Per quanto la Cina abbia fatto enormi progressi economici negli ultimi decenni, la salute dei suoi cittadini non è altrettanto migliorata”, così comincia un lungo articolo di Yanzhong Huang sull’ultimo numero di Foreign Affairs. Huang spiega che dal 1980, grazie a un tasso di crescita del 10%, la Cina ha tirato fuori dalla povertà 400-500 milioni di persone e tuttavia in quell’intervallo di tempo l’aspettativa di vita è cresciuta di soli cinque anni (da 68 a 73).
Nello stesso periodo in Colombia, Malesia, Messico, Corea del Sud, ad esempio, l’aspettativa di vita è cresciuta dai sette ai quattordici anni. Se poi si passa alle malattie, il quadro è addirittura allarmante: la Cina è ancora alle prese con quelle virali, inclusa l’Aids, la tubercolosi, l’epatite, la rabbia. Più di 130 milioni di cinesi hanno l’epatite B (un terzo dei malati del mondo); la Cina vanta anche un altissimo numero di diabetici e la malattia si sta espandendo a una velocità inquietante. Come non bastasse, per il 2040 si prevede che i malati di Alzheimer saranno in numero maggiore che in tutti i paesi sviluppati messi assieme.
Nonostante un tale scenario, i leader cinesi, a partire dagli anni Ottanta, quando il sistema sanitario maoista ha iniziato a collassare, hanno addirittura ridotto il tasso del Pil destinato al sistema sanitario nazionale. Nel 2003 si stima che più del 70% dei cinesi non avesse alcuna protezione sanitaria e, nonostante qualche riforma, la situazione è rimasta preoccupante.
Quello stesso anno l’epidemia della Sars, che solo in Cina (esclusi Hong Kong e Macao) portò a 5.327 infetti e a 349 morti, mise in seria difficoltà il regime. Hu Jintao diede così il via, nel 2006, a una nuova serie di riforme per portare la protezione sanitaria a tutti i cinesi all’insegna dello slogan "sicuro, efficace, conveniente e accessibile”. Così, alla fine del 2010, più del 94% dei cinesi risultava coperto da un’assicurazione sanitaria. Ma la strada era ancora lunga. Per la malattia mentale, ad esempio, si fa poco o niente. Dei 26 milioni di cinesi che soffrono di depressione solo il 10% viene curato. E poi c’è il gap, enorme, tra città e aree rurali, dove la popolazione deve pagare di più per accedere a un servizio più scarso.
Poco è stato fatto anche sul fronte della prevenzione, dal fumo all’abuso di alcool, dalla qualità del cibo all’inquinamento industriale. In Cina ci sono 459 cosiddetti "villaggi del cancro”.
Appurato che la crisi sanitaria cinese è fondamentalmente una crisi di governance e che la salute pubblica ha dirette implicazioni sulla stabilità politica (soprattutto in un paese che fonda la propria legittimità sulla performance), Yanzhong Huang arriva alla questione cruciale: può un tale paese, ricco, ma con una popolazione debole, diventare una vera grande potenza?
(Foreign Affairs)

1 novembre 2011. La gloria di Berlusconi.
Il mondo è appeso al dollaro, il dollaro è appeso all’euro, l’euro è appeso al debito italiano, il debito italiano è appeso alla credibilità del governo italiano, la credibilità del governo italiano è appesa alla permanenza di Berlusconi.
Il mondo è appeso a Berlusconi! La gloria suprema è arrivata.