Quella di oggi è stata una giornata strana su Avenue Bourguiba.
Una domenica mattina uggiosa dall’atmosfera inquieta, lontana dalla festosa carica umana che pervadeva l’aria lo scorso martedì, festa dell’indipendenza della Tunisia. Oggi a sventolare non c’erano le bandiere rosse e bianche, simbolo della Tunisia, ma in stragrande maggioranza quelle bandiere nere con scritte coraniche bianche che inneggiano al jihad, la guerra santa. E a rendere l’atmosfera tesa e plumbea erano uomini dalle barbe folte, dalle tuniche fino alle caviglie e dal capo coperto con la kefiah, che fin dalle prime ore del mattino si andavano radunando davanti al Teatro Municipale, in pieno centro, per manifestare a favore dell’introduzione della shari’a, legge coranica, nella Costituzione tunisina. Se interrogati, i barbus rispondono di essere tunisini e di far parte di quella società civile che ha partecipato alla rivolta del 14 gennaio 2011, ma quando un gruppo di artisti ha intonato l’inno nazionale davanti al Teatro, hanno preferito tacere. Mille persone, forse più. Donne e uomini, adulti ma anche molti ragazzi. Se ci si perdeva anche per un attimo in mezzo a quella folla, si aveva l’impressione di trovarsi altrove. Non importa dove. Afghanistan, Pakistan o Filippine, in qualsiasi luogo lontano anni luce, sia storicamente che geograficamente, da un Paese "aperto e solare” come la Tunisia. Mi son sentita un po’ quel diavolo ‘dalla pelle bianca e dagli occhi azzurri” con cui i membri de La Nazione dell’Islam, movimento estremista islamico americano, apostrofavano i miscredenti negli anni ‘30. Era anche un po’ come trovarsi a Nablus, quando durante lo sgombero dell’esercito israeliano da Gaza nell’ormai lontano 2005, i miliziani di Hamas inveivano, protetti dai loro mitra, contro i miscredenti occidentali.
Intenso, poi, il momento della preghiera collettiva sempre su Avenue Bourguiba. Minuti di silenzio e di raccoglimento rotti dal grido collettivo del consueto Allah Akbar.

Forse non c’è nulla di strano, se non che questo scenario insolito si sia svolto nel pieno centro di Tunisi e la vista della bandiera salafita issata sull’orologio in piazza 14 gennaio, simbolo della "rivoluzione” tunisina, fa davvero venire la pelle d’oca.
Micol Briziobello