27 maggio 2012. Mamme e nonne
"Al Colorado Center for Reproductive Medicine, a cui si rivolgono molte donne per preservare la loro fertilità congelando gli ovuli, il dottor William Schoolcraft, medico e direttore, a un certo punto ha iniziato a notare qualcosa di diverso: le donne arrivavano in compagnia”.
Così comincia un denso articolo di Elissa Gootman, del "New York Times”. Il dottor Schoolcraft ha così scoperto che le donne erano accompagnate dalle madri, che offrivano sostegno emotivo, ma anche finanziario. La procedura infatti è costosa (dagli 8000 ai 18.000 dollari).
Candace Kramer, 61 anni, racconta che ha iniziato a preoccuparsi quando la figlia Allison ha raggiunto i 35 anni, età in cui inizia a farsi sentire l’orologio biologico, e così si è mobilitata. Questo coinvolgimento dei potenziali nonni ha destato l’attenzione, ma pare sia piuttosto diffuso. Rachel Lehmann-Haupt, autrice di un libro sulla maternità postmoderna, parlando dei dialoghi cui ha assistito tra queste madri e queste figlie, segnala che il confine tra preoccupazione e pressione è molto sottile.
Jennifer Hayes, 36 anni, che ha raccontato il congelamento nel suo blog (RetrieveFreezeRelax.com), e che all’inizio era un po’ titubante spiega che in fondo è una "decisione di famiglia”, intendendo appunto che in fondo i suoi figli saranno anche i nipoti dei suoi genitori, insomma è una cosa che riguarda un po’ tutti.
Per alcune donne, subire queste pressioni dai genitori è quasi uno shock, ma con l’avanzare dell’età molte cedono e ammettono che dopo aver messo al sicuro gli ovuli si sentono più tranquille. Alcuni medici sono perplessi: qualche donna potrebbe scoprire che gli ovuli congelati a 34 anni non sono in grado di farla restare incinta a 40 anni. (nytimes.com)

5 giugno 2012. I gabinetti e la crisi
Le toilette portatili sono arrivate nel Regno Unito dall’America 25 anni fa. Gli operai dei cantieri sono stati i primi a usare i servizi igienici mobili, che sono diventati di serie a metà del 1990. Anche questo settore è stato infine colpito dalla crisi registrando un calo del 5% nel primo trimestre del 2012 rispetto a quello precedente. I costi di affitto di queste strutture sono diminuiti, ma il costo del trasporto, dei prodotti chimici, dello smaltimento dei rifiuti e perfino della carta igienica è cresciuto. Una unità di base portatile, che costa 500 sterline può essere data in locazione a 20-25 sterline a settimana. Visto che nell’ambito industriale i margini si sono ridotti, oggi i produttori si rivolgono al mercato degli eventi: festival musicali, eventi sportivi, feste private. Il fatto è che questo mercato è un po’ opaco. Gli organizzatori delle Olimpiadi hanno recentemente requisito 1.500 servizi igienici.
Qualche speranza viene dalla tecnologia. Alcuni dei modelli più lussuosi usano il sistema del riciclo dei reflui, ai quali vengono aggiunte delle sostanze chimiche battericide e disgreganti (e deodoranti). Ma anche quelli in uso negli aerei (con il sistema di scarico a depressione, il cosiddetto "vacuum”), che utilizzano invece (poca) acqua pulita e quindi sono più sicuri in termini di sicurezza sanitaria, stanno diventando popolari. Questi ultimi però sono anche molto più costosi: un’unità costa sulle 40.000 sterline, contro le 25.000 di quelli a ricircolo.
Alcune organizzazioni umanitarie stanno valutando l’utilizzo di servizi igienici modello "vacuum” nelle situazioni di crisi, proprio perché c’è un ridotto consumo d’acqua e meno rifiuti da smaltire. Ma c’è chi vede una prospettiva anche per le abitazioni private. Se prendono piede, i gabinetti "vacuum” potrebbero soppiantare i tradizionali servizi igienici con lo sciacquone.
(economist.com)

7 giugno 2012. Mi chiamo Mohamed Douzen
In Cabilia, da qualche tempo, è in corso un preoccupante aumento del numero dei suicidi tra i giovani. Jean-Louis Le Touzet, inviato di "Libération” in Algeria, racconta di quando, ad Adrar, un piccolo villaggio a nord est di Tizi-Ouzou, lo scorso 18 marzo è scattato l’allarme per il piccolo Mohamed Douzen, 11 anni, l’ultimo di tredici fratelli. È stato il fratello maggiore, Makhlouf, muratore come il padre, a trovare il piccolo appeso a un ulivo con un cappio intorno al collo. Lungo il sentiero delle capre che conduce agli ulivi del vicino, Amin, un altro fratello, muratore anche lui, tornando a casa ha visto un pezzetto di carta incastrato in un ramo spezzato di un albero di fico: "Mi chiamo Mohamed Douzen e mi sono suicidato”.
Badra Moutassem-Mimouni e Mostefa Mimouni avevano dedicato uno studio a questo fenomeno già nel 2008 con un articolo dal titolo: "Tentativi di suicidio e suicidi tra i giovani a Orano, tra disperazione e autoaffermazione”. Per i genitori, un atto di questo genere è devastante perché è come se negasse la loro esistenza e anche il loro amore. E poi per la religione musulmana è una forma di disobbedienza a dio. Nel mese di marzo, oltre a Mohamed, si sono impiccati altri due ragazzi nella wilaya di Tizi Ouzou, in Cabilia.
Boudarène Mahmoud, psichiatra, già membro del Rcd (Raggruppamento per la cultura e la democrazia, un partito laico ben consolidato in Cabilia), si interroga sulle motivazioni che portano questi giovani a "passare all’atto”. Sicuramente sono persone con problemi psicologici, sono spesso giovani che non si conoscono e non sono in grado di controllare le loro emozioni. Ma non c’è solo questo: sono anche situazioni deprivate. La casa dei Douzen non ha né Internet né parabola. La situazione economica dell’area è grave e senza speranza. Il destino di Mohamed era già segnato: "Avrebbe fatto il muratore, come i suoi fratelli, questo è tutto ciò che possiamo sperare qui”, ha spiegato il padre.
Il tasso nazionale di quattro suicidi ogni 100.000 abitanti secondo lui è sottostimato. Non ci sono solo "errori statistici”, ma anche veri e propri occultamenti di suicidio fatti passare come incidenti o morte naturale in un paese dove il peso della tradizione e della religione è importante. Il preside della scuola spiega che Mohamed era come gli altri ragazzini. "I suoi voti erano nella media, a volte sotto, ma non c’era alcuna pressione da parte dei genitori. Il bambino era turbolento come tutti i bambini di questa età”.
Tre giorni prima Mohamed si era rivolto alla madre dicendole: "Anche tu un giorno porterai la mia cartella per la strada”. Alludeva a un fatto accaduto un paio d’anni prima, quando un altro ragazzino si era suicidato e da allora la madre, impazzita per il dolore, si era messa a girare per le strade con lo zainetto del figlio sulle spalle. (liberation.fr)

8 giugno 2012. Ti senti più araba o più americana?
"Sono una cittadina americana. Ho frequentato solo scuole americane, mi sono laureata in un’università americana e lavoro come architetta a New York”. Così comincia un lungo e inquietante pezzo in cui Najwa Doughman racconta la grottesca accoglienza ricevuta da lei e l’amica Sasha, entrambe con passaporto americano, all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, dove la prima domanda è stata quale fosse il nome di suo padre: "Bassam”. "Bene, si accomodi un attimo in quella sala d’aspetto”. Mai Najwa si sarebbe aspettata che quell’"attimo” sarebbe durato 14 ore. Il momento più irritante è stato senz’altro quando è arrivata la domanda se si sentisse più americana o araba: "Non so, entrambe le cose”. Per non parlare di quando le è stato chiesto di accedere al suo account su gmail.com. Non ci poteva credere. A quel punto, la funzionaria della sicurezza, peraltro una sua coetanea, si è messa a leggere le sue mail e a commentarle con una collega.
Dopo altre tre ore, è stato il turno di un’altra guardia, che le ha comunicato che le era stato negato l’accesso. A quel punto ha chiesto un avvocato e di contattare l’ambasciata americana, ma l’incubo è continuato con umiliazioni continue e alla fine Naiwa e Sasha sono state portate in un edificio accanto all’aeroporto. Nella stanza-cella in cui hanno dormito c’erano scritte che testimoniavano di altre detenzioni. La mattina dopo è arrivata la telefonata dall’ambasciata allertata dai loro genitori, ma la funzionaria ha spiegato loro che non poteva fare niente. La frustrazione a quel punto era alle stelle. Alle 7.30 un ufficiale le ha accompagnate all’imbarco del primo volo per il ritorno a casa. Allo scalo francese, dove ad aspettarle hanno trovato tre poliziotti, Sasha ha chiesto se tutto questo succedesse spesso. "Tutti i giorni” le ha risposto il poliziotto francese. (http://mondoweiss.net)

9 giugno 2012. Il lusso di morire
"Vivere costa caro, ma a volte anche morire può diventare un lusso. È quello che succede in Romania, soprattutto nella capitale Bucarest, dove dopo i prezzi degli immobili, a salire sono stati anche i costi delle tombe nei cimiteri. Affollamento, liste d’attesa, prezzi a tre zeri e compravendita su Internet. Il mercato del settore funerario in Romania non è mai stato così fiorente. Nel Paese -famoso tra l’altro per il cosiddetto ‘Merry Cemetery’, il cimitero Vesel di Sapanta, dove ciascuna tomba è decorata con la storia della vita del defunto- trovare un luogo per riposare in pace è diventato sempre più difficile. Cripte, tombe interrate, piccoli loculi o sistemazioni ‘a schiera’; per quanto macabro e forse di cattivo gusto in Romania la domanda e l’offerta di questi generi ‘di prima necessità’ stanno vivendo un periodo critico... nei 15 cimiteri pubblici di Bucarest non c’è un posto libero e quelli che già sono stati acquistati vengono rivenduti a peso d’oro dagli attuali proprietari che corredano gli annunci pubblicitari con foto e descrizioni accurate, proprio come per la vendita di una casa con giardino o bella vista. Anche su Internet le offerte non mancano: si va da un appezzamento di terreno da ‘sei metri quadrati con possibilità di edificazione’ a 3.500 euro, fino a 7.000 euro per un monumento funerario, ancora inutilizzato, ‘costruito dopo il 1945’ nel prestigioso cimitero Bellu, uno dei più antichi della città. […] comunque niente a che vedere con i progetti allo studio in Paesi come l’India, dove per ovviare all’aumento della domanda sono in costruzione veri e propri grattacieli funerari”. (www.balcanicaucaso.org)

12 giugno 2012. La crisi del porno
È dal 2007 che l’industria del porno è in difficoltà. L’arrivo di siti con video gratis e il fenomeno degli amatori "diy” (do it yourself) che nel tempo libero caricano i video su siti come clips4sale, hanno contribuito a mettere a repentaglio gli stipendi dei professionisti del genere. Una scena porno oggi viene pagata circa 600 dollari, contro i 3000 di un tempo. Un bel problema per tutti quei "performer”, la cui unica qualifica è di saper fare sesso davanti a una telecamera. Molte donne arrotondano con spettacoli di spogliarello, talvolta fatti in casa con la webcam. Altre hanno oltrepassato la linea e sono passate alle prestazioni private, cioè alla prostituzione. Prima dell’ultimo tracollo, l’industria ha cercato di adattarsi riducendo le produzioni. Se nel 2000 "Adult Video News”, la bibbia dei cultori, riportava centinaia di recensioni, nell’ultimo numero ce n’erano 14 e molte case di produzioni hanno chiuso. Quelle che sono sopravvissute puntano sui prodotti di qualità. Una delle figure di questa rinnovata industria è Rob Black, famoso negli anni 90 per la sua spregiudicatezza e per scene femminili molto degradanti. Dopo aver perfino scontato un anno in galera per oscenità, oggi si è specializzato in parodie di supereroi, anche in 3D, che, a suo dire, si possono guardare anche con la fidanzata. È difficile prevedere il destino del porno, dal momento che i suoi fruitori trovano addirittura "più morale” scaricare i video gratuitamente anziché pagarli. Tra l’altro, se i fan dei Radiohead, per dire, possono provare un senso di fedeltà e lealtà ai loro beniamini che li spinge a comprare l’ultima uscita anziché scaricarla illegalmente, questo sentimento è invece sconosciuto ai fan del porno. Paradossalmente lo stigma fa sì che sia considerato legittimo "rubare” un video porno. Un dilemma che non riguarda solo il porno, ma tante altre realtà. Alla fine la domanda è: come può sopravvivere un’industria che offre determinati prodotti (giornali, musica e film) se i consumatori si stanno abituando a scaricarne i contenuti senza pagare? (guardian.co.uk)

15 giugno 2012. Paternalismo
La proposta di Michael Bloomberg, il sindaco di New York, di bandire le bevande zuccherate ai bambini ha scatenato un acceso dibattito di cui l’"Economist” ha pubblicato alcuni interventi. Timothy Noah di "New Republic” si è espresso favorevolmente a questo specifico tipo di paternalismo o di "Stato bambinaia”, come l’hanno definito i detrattori. In fondo, ha osservato, "Ci sono padri e bambinaie buoni e cattivi. Nessun adulto ama che gli venga detto come vivere la propria vita, ma la maggior parte di noi beneficia di un certo autoritarismo più di quanto vorrebbe ammettere”. Lo stesso Noah però avverte di non voler alcun "nanny state” quando entra in camera da letto. La questione è controversa perché quando si parla del "bene” di una persona si entra in un campo molto scivoloso.
Will Wilkinson, blogger dell’"Economist”, contesta la posizione di Noah, che alla fine si riduce a difendere il paternalismo con la giustificazione che a volte funziona. Non basta. In fondo anche Torquemada pensava che torturare la gente fosse efficace e quindi giustificato. In un’epoca e in una società in cui il "bene” si presta a molteplici interpretazioni, deve tornare al centro l’idea liberale secondo cui lo Stato dovrebbe astenersi il più possibile da controversie sulla religione e la morale, tutelando la sovranità della coscienza individuale. W.W. ha ricordato che titani del pensiero liberale come Kant e Mill hanno sostenuto con fermezza che neanche proteggere le persone dalle conseguenze delle proprie scelte può essere una giustificazione convincente per una qualche forma di coercizione da parte dello Stato. Alla fine, suggerisce W.W., forse la vera domanda è che tipo di società vogliamo essere. L’essenza della democrazia liberale è che i diritti fondamentali sono in qualche modo salvaguardati dalla deliberazione collettiva. "Vogliamo essere il tipo di società che permette alle persone di essere devote nel modo in cui preferiscono? Che permette ai poveri di votare? Che consente alla gente di dire cose oscene, cose comuniste, cose impertinenti, cose stupide, le cose che dice Thomas Friedman?”. "Sì, sì e ancora sì”, si risponde Wilkinson. Insomma, conclude W.W., poter comprare una Coca Cola gigante (e zuccherata) al cinema forse non è così importante. "E tuttavia non penso sia giustificato, o liberale, privare qualcuno di questa libertà, e non è necessario essere un conservatore ultraliberista o un anarchico individualista o un libertario sfegatato per dirlo. Basta essere un liberale vecchia maniera”.
(economist.com)

27 giugno 2012. Ricchi e poveri
Da una ricerca pubblicata oggi dall’Institute for Fiscal Studies (Ifs) emerge che in Inghilterra la ricchezza degli over-65 è cresciuta molto più velocemente di quella degli altri gruppi, mentre i giovani sotto i 30 anni risultano la categoria più colpita dalla crisi. La ricerca, commissionata dalla Nuffield Foundation, ha rivelato che oltre il 40% dei pensionati sono nella fascia di reddito superiore, contro il 25% di vent’anni fa. Inoltre le loro tasse sono diminuite. Per non parlare del fatto che non pagano il canone tv né i trasporti pubblici. Il gap crescente tra pensionati e popolazione al lavoro ha portato qualcuno del Governo a chiedersi se non ci siano gli estremi di un trattamento discriminatorio. Per il momento Cameron non ha alcuna intenzione di rivedere la situazione, anche perché i conservatori sono consapevoli del peso del voto dei pensionati alle prossime elezioni.
(independent.co.uk)
28 giugno 2012. Parkinson
Su Wired, Tiziana Moriconi racconta come forse sarà presto possibile fare una diagnosi di Parkison con una telefonata. Max Little, ricercatore al Massachusetts Institute of Technology, ha infatti scoperto che il timbro vocale delle persone colpite da Parkinson ha delle caratteristiche uniche. Per elaborare il giusto algoritmo e perfezionarlo Little ha però bisogno di volontari. Pare gli basti una telefonata di tre minuti.
Delle 263 registrazioni raccolte finora, il programma è riuscito a diagnosticare la patologia nel 99% dei casi. (wired.it)

30 giugno 2012. Morire di carcere (I)
"Qualche giorno fa gli avevano notificato un altro provvedimento di cumulo pene: dal carcere sarebbe uscito nel 2017 e non più tra un anno. Mauro Pagliaro, 44 anni, pescarese, dall’8 giugno detenuto a Castrogno, si è impiccato alle inferriate della cella in cui era solo. È l’ennesima tragedia in un carcere sovraffollato (430 reclusi a fronte di una capienza di 270), un penitenziario che nel 2011 è stato il terzo in Italia per tentati suicidi […]. Per i tentati suicidi il carcere di Teramo è al terzo posto in Italia: secondo la Uil Penitenziari nel 2011 ci sono stati 19 tentati suicidi, mentre da giugno dell’anno scorso ad oggi sono stati già dieci”. ("Il Centro”)

1 luglio 2012. Morire di carcere (II)
"Secondo suicidio nel giro di 24 ore nel carcere teramano di Castrogno, uno dei più sovraffollati d’Italia. Intorno alle 11, approfittando dell’assenza della compagna di cella, si è impiccata Tereke Lema Alefech, 55 anni, la badante etiope che nel marzo scorso è stata condannata a diciotto anni di reclusione […]”. ("Il Centro”)

4 luglio 2012. Dipendente pubblica
Riceviamo e pubblichiamo.
Un altr’anno saranno 30 anni che lavoro: 9 anni nei servizi di assistenza diretta alle persone anziane non autosufficienti, 6 anni nella segreteria di una scuola superiore, 15 anni negli uffici centrali della Provincia di Livorno. Il tutto attraverso concorsi pubblici (qualcuno sghignazzerà... beh, se volesse, potrei parlargli dei "pulitissimi” meccanismi di selezione del personale nel privato... direbbe il cameriere di "Casablanca”: puliti, come la pallina della roulette!). Una "splendida”, perfetta, inossidabile, garantita dipendente pubblica. Pacchi di certificati di corsi di formazione, duro impegno di autoformazione, progetti realizzati, semplificazioni procedurali, lavoro svolto magari con il 20% di incremento e con la riduzione di organico del 50%. Perfetto: tutto da buttare. I dipendenti pubblici, ci dice questo governo, sono il tarlo che si annida nell’altrimenti perfetto funzionamento della cosa pubblica. È qui lo spreco. In gente come me. Siamo da ridurre "strutturalmente”. Forse, anche da licenziare. Pensare che il lavoro pubblico potrebbe essere un "valore aggiunto”, come si dice, senza pari. Si butta in pasto alla ggente la domanda: sono da tagliare? E la ggente risponde: sììììììì. Certo. Bene. Vedremo quando a questa ggente mancheranno infermieri. O maestri. O tecnici radiologi. O impiegati che si occupino delle loro istanze, permessi, certificazioni. Ok, subentrerà il privato. Con enormi profitti e con gente pagata da fame e precaria. E il privato si farà pagare: tanto. Lo stanno già facendo. Siamo -noi dipendenti pubblici italiani- in un numero perfettamente allineato alla media europea; forse, qualcosina in meno. Ma no, questo non basta. Vae victis. E noi siamo i vinti. Sapete, non ho più voglia di lavorare. Inventiva, immaginazione, impegno: perdio, no. Basta. Mi difenderò, e basta. In un angolo, a difendermi.
(Paola Meneganti)

6 luglio 2012. Ospedali low cost
Nell’ospedale Narayana Hrudayalaya di Bangalore, un intervento al cuore costa 2000 dollari contro i 20.000 degli Stati Uniti. Il merito è del dottor Devi Shetty che, come ci spiega Jyothy Karat, inviato di "Le Monde”, ha applicato il fordismo alle operazioni cardiache. Un metodo che democratizza l’accesso alle cure, grazie a una riduzione dei costi e che potrebbe essere applicato anche altrove. I pazienti arrivano dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia meridionale. Il primo colloquio spesso è via Skype. I 14 ospedali del gruppo Narayana Hrudayalaya, presenti in 11 città indiane, hanno un giro d’affari di 250 milioni di euro. Il dottor Shetty, che viene considerato un "santo” da molti suoi pazienti, ha optato per interventi a basso costo, non per compassione per i poveri, ma per uno spiccato senso degli affari. La ricetta è razionalizzare tutte le spese. A un secolo da Ford, Shetty ha così ideato le operazioni al cuore "alla catena”. I 29 chirurghi dello stabilimento di Bangalore operano a ritmo di 70 ore alla settimana. "Più un chirurgo pratica, più migliora”, spiega Shetty.
Conclusa la fase degli interventi, il dottor Shetty passa al metodo Toyota, cioè alla qualità totale: "Nel mio ospedale, voglio che l’infermiere sia in grado di dire al chirurgo di cambiare i guanti se sono sporchi”. Le strutture beneficiano anche di sofisticati sistemi informatici. Più di 53.000 pazienti sono stati curati con la telemedicina. Nel prossimo ospedale, in costruzione a Mysore, a 150 km da Bangalore, i 300 posti letti saranno situati tutti su un unico piano, per evitare l’uso di ascensori, e non ci sarà l’aria condizionata, che tra l’altro favorisce l’aumento delle malattie nosocomiali, ma solo un sistema di ventilazione naturale. Il gruppo prevede di investire 830 milioni di euro nella costruzione di 100 nuovi ospedali "low cost”. Intanto ha investito nella costruzione di un ospedale nelle Cayman per i pazienti dei Caraibi, altri sono in programma in Etiopia e nei paesi dell’Est. Il dottor Shetty per ora va dove può. La corporazione dei medici è infatti ancora molto chiusa e non è facile proporre modelli nuovi. Parte del successo dell’impero Narayana Hrudayalaya è anche legato a una medicina pubblica allo sfascio, dove mancano medici e farmaci e i pazienti devono aspettare mesi per un intervento. Per ora il dottor Shetty ha coronato il suo sogno: un ospedale privato che non sia riservato ai ricchi, dove arrivano persone con l’autista e altre coi carretti. Dalla Gran Bretagna sono già arrivati a chiedere qualche consiglio. Intanto il suo ospedale è già diventato oggetto di studio alla Harvard Business School.
(lemonde.fr)