Roberto Marchesini è veterinario. E' altresì presidente del Comitato difesa degli animali d'allevamento e  vicepresidente nazionale della  Associazione Vegetariana Italiana.

C’è nell’immaginario collettivo un’idea dell’animale zootecnico abbastanza idilliaca, e anche gli organi mediali, la televisione, i giornali, enfatizzano questa idea: le oasi della Plasmon, i bovini che pascolano nei campi, le mucche felici. In realtà ben pochi sanno come funziona un allevamento intensivo. Al suo interno gli animali sono sottoposti a tutta una serie di maltrattamenti: dal maltrattamento insito nel tipo stesso di stabulazione, nelle stesse caratteristiche strutturali dell’allevamento, alla manipolazione, al modo, cioè, in cui questi animali vengono trattati correntemente all’interno dell’allevamento; dal maltrattamento alimentare, con tutte quelle forzature alimentari che vengono fatte, con l’utilizzo di alimenti non adatti, ma che hanno un preciso scopo zootecnico, al maltrattamento farmacologico, con un utilizzo incredibile di farmaci. E per ultimo, al maltrattamento genetico.

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Gli allevamenti più intensivi sono quello avicoli, di polli, faraone, tacchini ecc., tenuti sempre in gabbia. Quello dei conigli, anch’essi in gabbia e pensiamo che questi animali in natura vivono addirittura sotto terra, scavano dei cunicoli, da qui il loro nome. L’allevamento dei suini da carne, che vengono tenuti sempre in spazi ridottissimi, addirittura uno sopra all’altro, e quello dei vitelli “a carne bianca”, tenuti in box singoli, dove l’animale non può neanche voltarsi.
La prima caratteristica strutturale dell’allevamento intensivo è dunque questa: enormi quantità di animali allevati in piccoli spazi, perché questo è vantaggioso economicamente, e la mortalità è compensata comunque dalla maggior quantità di animali tenuti in questi capannoni.
Oggi un moderno allevamento di suini da ingrasso ha circa 20.000 capi. Proviamo ad immaginare cos’è. 20.000 animali in un ambiente estremamente ridotto. Questa vicinanza coatta provoca naturalmente dei fenomeni di violenza fra gli animali: sono frequentissimi i casi di cannibalismo, di lotte proprio dovute allo spazio ridottissimo. Le galline ovaiole, e proprio in virtù di una legge che si prefiggeva di aumentare lo spazio, hanno ora uno spazio di 450 centimetri cubici, che è uno spazio grande quanto un foglio di giornale.
E come si risolve il fenomeno del cannibalismo? Debeccando gli avicoli, cioè tagliando il becco a polli e galline, e nel caso dei suini, tagliando loro la coda, in modo tale che non se la strappino, oppure togliendo loro addirittura i canini. Le soluzioni, cioè, non sono mai volte ad aumentare lo spazio la cui mancanza è la causa del cannibalismo e delle lotte violente tra gli animali.
Poi questo spazio ridotto determina un eccesso di vapori tossici. Se uno entra dentro questi allevamenti, la prima sensazione che prova è di stordimento, le mucose lacrimano, si sente pizzicore al naso: perché ci sono deficienza di ossigeno e carichi eccessivi di anidride carbonica e poi di idrogeno solforato e ammoniaca derivanti dalle deiezioni di questi animali. Questi vapori tossici insieme alla mancanza di ossigeno determinano negli animali una serie di lesioni a carico dell’apparato respiratorio, del naso e delle mucose corneali, congiuntivali, della mucosa orale. Ed è tale l'eccesso di questi vapori che un’aerazione normale non potrebbe consentire un ricambio di aria tale da soddisfare le esigenze respiratorie degli animali. L’aerazione deve essere forzata, l’aria viene immessa per mezzo di ventole. E se le ventole per un qualche motivo si fermassero, non c'è dubbio che gli animali morirebbero tutti.
Queste sono le prime due caratteristiche strutturali degli allevamenti: mancanza di spazio e vapori tossici.
Poi ci sono le caratteristiche di costruzione.
Gli animali poggiano su delle superfici inadatte, perché per stabulare tanti animali in uno spazio ridotto, uno dei problemi da risolvere è quello dell’allontanamento delle deiezioni. Allora si sono fatti dei piani tali che ne permettessero il defluire in piani  o in fosse sottostanti per poterle poi aspirare o raschiare via. Quindi pavimentazioni a grigliate, fatte a travetti con degli spazi fessurati. Negli avicoli si è risolto il problema per mezzo delle gabbie, la rete favorisce l’eliminazione delle deiezioni. Ma tutto questo causa agli animali, che poggiano su superfici non adatte, delle gravissime le ...[continua]

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