Thomas Banyacya è un più che ottantenne leader spirituale della nazione Hopi. Tale nazione, più comunemente conosciuta col nome di “Pueblos”, vive negli aridi stati sud-occidentali degli U.S.A. ed appartiene al ceppo linguistico nahua, o Uto-Azteco, lo stesso degli Aztechi. L’intervista è stata fatta a Rimini, nel corso del “Meeting per l’amicizia fra i popoli” organizzato ogni anno da “Comunione e Liberazione”, dove Banyacya era venuto a portare il suo messaggio.

Ognuno di voi conosce, deve conoscere, le proprie tradizioni, la propria cultura, la storia da cui viene. Nel popolo degli Hopi ci sono delle società religiose e i giovani, nelle loro famiglie, vengono iniziati fin da piccoli e ricevono il loro nome. Io ho ricevuto il mio nome dal clan di mio padre; Banyacya significa: “quando piove forte il mais continua a stare eretto nell’acqua”. Da parte del clan di mio padre mi viene il nome, ma da parte di mia madre mi viene l’appartenenza al clan del lupo, della volpe e del coyote perché l’appartenenza ai clan è di discendenza materna; mio padre era del clan dell’orso perché quello era il clan di sua madre.
Per quale ragione, nel popolo Hopi, la discendenza è matrilineare?
Così è stato stabilito dalle nostre tradizioni, perché la madre è molto importante. Rappresenta la madre terra, dalla quale tutto è venuto: animali, uccelli, vita, tutto. Rappresenta il fatto che noi le apparteniamo e tutti, uomini, animali, cose, abbiamo una missione molto speciale. Questa missione è di mantenere la terra viva, vitale, in perfetto equilibrio.
Ogni essere, ogni cosa, ha un rapporto con il femminile; la madre terra è tutto, tutti veniamo da lì. E’ dalla madre che viene la famiglia, l’uomo e la donna, il maschile e il femminile, e da lei vengono dei doni particolari a ogni essere, alle piante e agli animali ai quali noi apparteniamo tramite il nostro clan. Come ho già detto, da parte di mia madre io appartengo al clan del lupo, della volpe e del coyote e il nostro compito è di adoperarci per mantenere un equilibrio delle cose, di dare avvertimenti agli altri uomini. Avrete sentito qualche volta i coyote di sera... con il loro verso possono indicare un saluto, un avvertimento o un cattivo pre­sagio, possono dire che qualcosa è successo o sta per succedere alla famiglia di qualcuno. E questa è una delle nostre missioni; noi possiamo gridare, avvisare gli altri. Questa è la ragione per cui gli anziani si sono rivolti a me. Quando, nel 1948, tutti i capi si riunirono, venendo da tutti i villaggi, io fui sorpreso perché indicarono il nostro clan. Cercavano un interprete, un por­tavoce, e ogni volta che veniva indicato qualcuno c’erano sempre alcuni capi contrari, dicevano che gli avrebbero affidato qual­che altro incarico. E così per tre volte. Alla fine gli anziani presentarono il mio clan. Gli anziani sanno come si fanno queste cose, hanno esperienza, sanno da dove viene un clan, da quale direzione siamo venuti...  
E come lo sanno?
Sono cose che ti vengono dette fin da piccolo, cose che devi sapere, perché i membri del tuo clan te lo dicono. Cosicché quei capi di diversi villaggi sapevano che siamo venuti da diverse direzioni, che sulla nostra strada sono accadute certe cose, e qu­ando considerano i clan dei diversi villaggi sanno che certe persone possono fare certe cose e non altre.
E così, quando mi hanno considerato, conoscevano le nostre antiche radici, sapevano che io venivo dal clan del lupo, della volpe e del coyote, sapevano da quale villaggio venivo e hanno stabilito che noi eravamo quelli adatti. Ci sono due clan del coyote: uno ha a che vedere con la società religiosa, il clan dell’acqua, e l’altro è il clan maschile. Il maschio è forte, potente, ha coraggio, sa quello che deve essere fatto e lo fa senza esitazione. Così i capi fecero domande a tutti e poi mi chiesero quattro volte, quattro è un numero sacro, di essere il portavoce. Io rifiutai, perché non parlavo molto bene l’inglese e nemmeno la lingua Hopi, non ca­pivo la lingua di tutte le società, ma uno degli uomini disse: “abbiamo bisogno di aiuto, abbiamo bisogno di raccogliere la conoscenza dovunque la possiamo trovare”. Poi qualcuno disse a questo anziano che io appartenevo al suo stesso clan; lui disse che era felice di saperlo, perché io potevo essere l’interprete, colui che avrebbe raccolto tutto il patrimonio di conoscenze e di tradizioni di cui si era parlato in quei quattro giorni e che le avrebbe diffuse ai nostri popoli nat ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!