Recentemente hai detto che al centro delle tue preoccupazioni sta in questo momento la questione del potere nel suo rapporto con la giustizia. E’ una questione sulla quale ruota la riflessione critica portata avanti da questo giornale. Puoi chiarirci il tuo punto di vista?
Simone Weil fa un esempio straordinario; riguarda il potere in senso trascendente e in senso immanente, che poi è il problema della giustizia. L’esempio è tratto da Tucidide. Durante la guerra del Pelopponeso, Atene, che ha bisogno di una roccaforte per assediare Sparta, chiede alla piccola città di Melos, alleata di Sparta, di arrendersi. Loro rifiutano e chiedono giustizia, ma gli ateniesi ribattono: “Se voi foste al posto nostro, cosa fareste? Se doveste conquistare Sparta ovviamente dovreste distruggere tutto”. In altri termini l’esercizio del potere non può che essere incondizionato. Un potere che si concepisce come onnipotente è nemico della giustizia. La giustizia, infatti, nasce come valore laddove si dà una rinuncia a questa onnipotenza: “io, anche se ho il potere di conquistarti, di distruggerti, non ti distruggo, ti considero anzi uguale a me, non perché tu effettivamente lo sia, ma perché rinuncio al mio potere e riconosco il tuo diritto di essere”.
Se si concepisce il potere come onnipotenza, diventa irrisorio e irrilevante se si stermina un popolo o se si fanno dei crimini di guerra. Pensiamo alla guerra del Golfo: il non sapere quello che è veramente successo per noi è diventato irrilevante, perché si suppone che qualsiasi cosa sia successa sia legittimata dallo stato di guerra. Noi ci stiamo abituando sotto tutti i punti di vista a questa guerra di massa, a questo esercizio del potere nemico di ogni costruzione di giustizia.  Si veda, ad esempio, il modo in cui si fa informazione: si stabilisce in modo globale e aprioristico che il sistema dei partiti è male e che dunque va distrutto, dunque si crea il consenso con fittizi appelli “democratici” alle masse cui si rivolgono pseudo-domande che in realtà sono già risposte. Tutte le trasmissioni di maggior ascolto fanno riferimento alla massa, ma è un riferimento di tipo fascista. Le persone che vengono chiamate a rispondere sono semplicemente dei pretesti, oppure delle esemplificazioni di una teoria, dei casi sociologici.
Simone Weil parla anche di un potere in senso trascendente.
Un Dio che è onnipotente, che non lascia agli uomini alcuna libertà, che non li considera eguali, questo Dio, dice S.Weil. è un Dio da idolatri. Altro è il Cristo, figlio dell’uomo e figlio di Dio, che subisce la giustizia degli uomini e di Dio, che sacrifica il potere, non lo esercita...
Tu conosci la campagna che questo giornale ha fatto perché fosse onorata la memoria di alcuni ebrei massacrati dai nazi-fascisti a Forlì. Non credi che l’esercizio pietoso della memoria potrebbe essere un antidoto a questo  strisciante totalitarismo?
Sì perché questo potere sostanzialmente totalitario vuole togliere proprio il peso della memoria, cioè della tua singolarità, di ciò che tu hai vissuto.
Se tu hai una singolarità, per es. se sei ebreo, cristiano, ti viene detto “spiegalo, riportalo a una generalità, a una globalità”. Un esempio tipico, su cui anche molta filosofia russa ha scritto, è la crocifissione, quando il centurione dice a Cristo “Se sei Dio scendi dalla croce”. In questo modo persino la singolarità viene riportata ad un consenso totalitario, viene cioè privata di memoria, perché la memoria è viva esattamente proprio per quell’evento che sta nella croce e che deve essere ricordato come martirio. Sul piano storico le persone, come il martire, devono essere ricordate con nome e cognome, invece vengono espropriate proprio attraverso la riduzione ad una globalità. E’ il problema degli ebrei, del loro sterminio. Una lapide è certo una risposta fragile, ma io credo che vada posta tutta la speranza in questa fragilissima memoria che, se vogliamo vederla dal punto di vista cristiano, come fa Simone Weil, è chiaramente la speranza tout court. Dobbiamo sfuggire a un pensiero globale, anche il governo dell’emergenza non è altro che una mentalità globale. Per i problemi economici cosa ci viene infatti detto? Che c’è sempre un qualcosa di più grande: l’Europa, il mondo, la guerra ecc. Di fronte a tutti questi impegni globali  il diritto diventa allora assolutamente secondario. Non importa come si arrivi alla soluzione del problema. E' chiaro che non si farà giustizia.
In un tuo aforisma s ...[continua]

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