Marco Tarchi è uno dei più autorevoli esponenti della "nuova destra". Dirige le riviste Diorama Letterario e Trasgressioni.

Col crollo dei paesi del "socialismo reale" il nazionalismo sembra l’unica risposta al problema della ricostituzione di una identità collettiva di quei popoli. Ma, visto quello che sta succedendo nella ex Jugoslavia…
Innanzitutto non credo che nella ricerca di identità collettive forti il problema sia eliminare il referente nazionale, si tratta invece di vedere una sua coniugabilità al plurale. In altre parole, se il problema è "la nazione" siamo nei guai, se il problema sono "le nazioni" la questione ha già una base su cui discutere. Il nazionalismo, infatti, è l’esasperazione dell’identità, perché nelle società complesse le identità sono molteplici e quasi inestricabili. Attualmente le identità si incrociano e quindi determinano stratificazioni diverse a seconda dei momenti: in un momento siamo cittadini, in un altro momento siamo membri di una comunità religiosa, in un altro momento ancora siamo legati alla nostra collocazione professionale e così via. Ovviamente in questo sistema complesso di identificazioni ci sono identità prevalenti, soprattutto nei momenti di crisi. Oggi, a livello europeo, siamo in una fase quantomeno pre-critica, in cui questa esasperazione dei segni dell’identità può trovare una giustificazione. Noi abbiamo assunto una posizione molto critica nei confronti del nazionalismo, perché il nazionalismo, vissuto non come appagamento di un proprio diritto all’identità, ma come negazione dell’identità altrui, è un segnale di debolezza, di incertezza, della propria identità. Quando si vuole aggredire l’identità altrui evidentemente è perché non si è certi che la propria possa essere soddisfacente e non è un caso che questo groviglio di nazionalismi aggressivi sia venuto fuori in quella parte d’Europa in cui, per 45 anni, era impedita l’espressione di un principio di nazionalità in senso forte. L’aggressività nazionalista dell’ovest europeo non ha, secondo me, il potenziale e la forza di quella dell’est. Anche all’est, comunque, il nazionalismo è espressione di una fase di transizione; il problema è verso cosa?
Se la transizione è verso una società globalizzata ed omogeneizzata, allora il rimedio sarebbe peggiore del male, perché l’annegamento delle diversità può portare solo ad una implosione colossale. Altra ipotesi è che la crisi sbocchi in un individualismo esasperato, in cui il conflitto, invece di verificarsi a livello di macro aggregati, si verificherà fra i singoli o a livello di aggregazioni momentanee per difendere il privilegio corporativo di un dato gruppo. Considerando tutto questo è quindi necessario trovare un livello intermedio ed io credo che tale livello possa essere il rapporto interpersonale comunitario, un rapporto che deve essere riscoperto rivalorizzando la solidarietà. Anche il concetto di solidarietà, tuttavia, va analizzato bene. Se parliamo della solidarietà pietistica veicolata dalle grandi ideologie di questo secolo, in particolare dal cattolicesimo e dal marxismo, non faremo un passo avanti, perché sono solidarietà retoriche o sono solidarietà prettamente materiali, certo concrete ma esclusive, come è stata la solidarietà di classe in determinate fasi storiche. La solidarietà a cui penso io poggia, piuttosto che su interessi, prevalentemente su valori ed è quella che si è espressa in questi ultimi anni, pur frammentata, in movimenti collettivi come "Comunione e Liberazione", il movimento verde o il volontariato. Certo, mi rendo conto che questi movimenti hanno molto sofferto l’impatto con la società neocapitalista, però è necessario domandarsi se a determinare la loro crisi sia stato un limite intrinseco o se è stato il tipo di approccio con cui questi movimenti hanno giocato le loro carte. Ma la globalità di valori di questi movimenti collettivi potrebbe sorreggere una democrazia organica, basata sulla riappropriazione del senso di cittadinanza, sulla diminuzione della delega, sulla coscienza individuale e di gruppo?
Secondo me, almeno come modello, sì. Quando come "Nuova Destra" dicevamo che la rinascita della dimensione comunitaria, come stile di comportamento interpersonale, era il dato da cui si doveva partire per aggregazioni nuove credo dicessimo una cosa saggia. Il fatto che non si sia giocato su quel piano ha dato vita a tutti i meccanismi che si vedono oggi, in una società in cui i tradizionali referenti dell’identità polit ...[continua]

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