Alessandra Castellani, antropologa, esperta di sottoculture giovanili e di culture metropolitane, è autrice del libro Senza chioma né legge, che uscirà in settembre edito da Manifesto Libri.

Rispetto a un fenomeno come quello dei naziskin si ha la sensazione che l’opinione pubblica sia divisa in due parti, una, di opinione democratico-benpensante, che si limita a una condanna generica quanto doverosa, però poco approfondita di questo fenomeno, e l’altra che vede in questo fenomeno l’espressione di un’esuberanza giovanile, in fondo dettata anche da ragioni plausibili...
I giornali e l’opinione pubblica hanno cambiato parere nel corso degli anni molte volte riguardo agli skinheads, che inizialmente sono stati presi come dei giovani senza cervello, che sotto la pelata sembravano aver ben poco. In seguito, in uno scenario nazionale e internazionale ben diverso da quando gli skinheads hanno preso piede in Italia, cioè nella seconda metà degli anni 80, le opinioni della gente sono cambiate, come è cambiato il modo di riportare le notizie da parte dei giornalisti. Si può dire che una parte consideri questi giovani in definitiva piuttosto innocui, forse anche nel giusto nel sentirsi intolleranti verso gli extracomunitari, perché una parte anche consistente di opinione pubblica è contro una società multirazziale o multiculturale, cioè contro gli immigrati, visti in maniera stereotipata come gente che viene a rubare il lavoro a casa nostra. Altri, invece, individuano negli skinheads il cuore di tenebre della società contemporanea: questo incrociarsi e sovrapporsi di memorie di tutte le tradizioni sbagliate, di un passato che ritorna e che va dai fasti peggiori del nazismo al fascismo e, soprattutto, alla Repubblica di Salò. Quindi in questo momento gli skinheads più che mai suscitano inquietudine perché rappresentano i rischi in cui sta incorrendo la società contemporanea nel suo insieme.
Per quanto riguarda i rapporti con la destra politica ufficiale, a parte la scomunica formale da parte di Fini, che rapporti ci sono e come è vista dagli skinheads?
Il movimento degli skinheads nasce a Roma a metà degli anni 80 con persone che si allontanano dal Msi perché non si ritrovano più nelle posizioni di una via "democratica". Detto fra parentesi, né loro né noi potevamo immaginare che quella scelta li avrebbe portati al governo... Questo gruppo di giovani fascisti ritiene di scegliere una via più movimentista e decisamente antidemocratica. Già dal suo nascere il Movimento Politico -così si chiama il gruppo che viene a formarsi e al quale si aggiungono poi altri skinheads che trovano in Roberto Valacchi un punto di congiunzione, perché Valacchi era fascista e contemporaneamente skinhead- ha le radici intrecciate col Msi e nel corso degli anni questi rapporti si fanno contraddittori, stridenti, ma anche intricati. Il vero nocciolo di differenza è nella scelta politica, ma la tradizione culturale e ideologica è assolutamente la stessa, nella molteplicità delle anime che il Msi ha sempre avuto, che vanno da una destra radicale a posizioni da Nouvelle Droite. Nell’ambito di questa complessità si colloca anche il Movimento Politico, facendo una scelta più estremista: come loro stessi dicono in un libro pirata che uscì subito dopo l’operazione "Luna" -ovvero quell'operazione della Digos che nel maggio del '93  chiuse tutte le sedi skinhead- quando nascono, a metà degli anni 80, si rendono subito conto che la sede nazionale del Msi di via della Scrofa non fa assolutamente la stessa politica che fa nelle sezioni, dove si inneggia alla Repubblica di Salò.
Quindi sin dagli inizi c’è questo intreccio, ma anche nell’epilogo l’intreccio continua, perché nel momento in cui, appunto, viene sciolto il Movimento Politico e le altre associazioni che legano gli skinheads in Italia, molti rientrano nella casa madre, cioè nel Msi.
Tutti gli skinheads si riconoscono nel Movimento Politico?
Questa è una differenza che esiste sempre nelle subculture giovanili. Da una parte c’è un nocciolo duro che fa le innovazioni, dall’altra c’è una moda dilagante che usa in una maniera più annacquata i messaggi partiti dal nocciolo duro. E’ come un sasso nell’acqua: il primo cerchio è quello più preciso, gli altri sempre più ampi e meno efficaci. La mia impressione è che gli skinheads per così dire politicizzati, che si sentono cioè fascisti, siano ben pochi. Nel ’92 l’Associazione Skinhead contava 156 aderenti in tutta Italia. Mettiamoci ...[continua]

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