Andrea Vannucci è ricercatore all’Eurisko. Insieme a Gabriele Calvi ha scritto L’elettore sconosciuto - Analisi socioculturale e segmentazione degli orientamenti politici nel 1994, uscito per le edizioni de Il Mulino.

Dalla vostra ricerca sembra uscire un quadro di grande stabilità nei comportamenti elettorali degli italiani? E’ così?
Il problema consiste nel capire se le determinanti del consenso e dell’opinione, che sono di per sé dei fenomeni solitamente molto stabili e durevoli, siano effettivamente cambiate e in che misura, oppure se ciò che appare così drasticamente innovativo sia in realtà una manifestazione esteriore ed episodica dell’opinione. Ovverosia: abbiamo cambiato tutti i partiti, tutto sembra nuovo, ma le persone, le loro esigenze, le loro opinioni, il loro retroterra culturale bene o male non è che siano stati presi e rivoltati come un calzino; i milioni di italiani che votano oggi al 90% sono gli stessi elettori che votavano due, tre, cinque anni fa.
Sono cambiate solo le forme esteriori dell’affiliazione politica, oppure è cambiato qualcosa anche alla radice? Per esempio, il famoso elettorato centrista da cui tutti vorrebbero prendere qualche percentuale, è pur sempre il grande elettorato cattolico, anche se si fa a gara nel dargli altre denominazioni per appagare il senso di "nuovismo". Esso è banalmente rappresentato dalla forza dei pensionati, delle persone di una certa età, delle persone che frequentano la chiesa. Che poi la forza ideologica e l’evidenza culturale di questo gruppo non siano più così forti, al punto che non si riconosce manifestamente una sua identità, non vuol dire che le persone non si ritrovino vicine quando si va a fare un’analisi socio-culturale intorno ai loro valori, alle loro idee sulle persone, sulla famiglia, sul senso della partecipazione e dell’individuo, sull’etica.
Credo che qualcosa alla radice sia cambiato, ma molto meno di quanto la propaganda e la comunicazione vogliano far credere. Lo scenario che emerge è più riconoscibile come risultato del vecchio scenario di consenso politico ed affiliazione partitica che non di uno nuovo. Gli elettori, come fossero orfani di una affiliazione, sembravano alla ricerca di una nuova collocazione, che rispecchiasse, però, quella vecchia. La gente sente di aver cambiato, vuole sentire di cambiare e quindi le si offre una merce, che costituisce l’interpretazione del cambiamento, ma in una profusione di gran lunga sovrabbondante rispetto al cambiamento reale. Non ci vuole un politologo per vedere che, consumato questo grande circo del cambiamento, in realtà nelle ultime elezioni amministrative tutti i partiti e tutti gli schieramenti hanno fatto a gara nel recuperare i personaggi più credibili, tranquilli e continuisti delle formazioni politiche passate. Abbiamo avuto candidati di destra e di sinistra che erano un democristiano e un democristiano; e questo non in un collegio, non in due, né in cinque, ma in tutti, da Milano a Roma. Evidentemente questa esigenza di rientrare un po’ nei ranghi rispetto alla grande kermesse del cambiamento è stata ben recepita dalle forze politiche.
Ora nessuno si azzarda a proporre personaggi estemporanei o realmente innovativi. Perché? Perché la gente fa festa, ma poi torna a lavorare. Certamente, il problema di alcuni partiti che hanno cavalcato l’onda del rinnovamento è di giustificare adesso la loro collocazione e il loro consenso, una volta diventati qualcosa di storicizzato: è il problema della Lega e presto sarà il problema di Forza Italia. Trasformare il tifo da stadio in un sostegno a lungo termine è un problema di fidelizzazione definitiva, di servizio e di risposta.
C’è spazio ancora per exploit di tipo innovativo?
Secondo me poco, perché comunque l’elettorato italiano non è assolutamente avventurista, non lo è mai stato e dubito che lo sarà mai. Per un certo periodo è stato solo intrigato da questo modo di comportarsi.
Un altro risultato interessante ricavato dalla nostra ricerca è stata l’assoluta multi-dimensionalità delle logiche di posizionamento del consenso: tutto sommato l’asse destra-sinistra, e l’esasperazione maggioritaria bipolare che cercava di dare allo scenario politico, non sembra affatto rendere giustizia della varietà di opinioni e di collocazioni socio-culturali dell’elettorato italiano.
Rispetto alla grande novità di Forza Italia, la vostra ricerca cosa ha evidenziato?
Un dato interessante che emergeva dalla ricerca concernente ...[continua]

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