Giovanni Moro è segretario del Movimento federativo democratico, da cui è nato il Tribunale dei diritti del malato.

Cosa sono le reti di solidarietà, che rapporto intessono con la sfera politica?
Si può dire che queste reti di solidarietà -che complessivamente coinvolgono una fetta rilevante della nostra società, occupando una forza lavoro di circa 400 mila persone, cui si aggiungono almeno 4-5 milioni di cittadini che vi partecipano a vario titolo- fanno riferimento a un fenomeno che va oltre i confini dell’Italia; si tratta di quel fenomeno chiamato anche “cittadinanza attiva”, “terzo settore” o cose di questo genere, tutti nomi che indicano un’attitudine dei cittadini in quanto tali ad organizzarsi per affrontare problemi che riguardano la loro vita, ai quali gli stati non riescono più a far fronte per la loro debolezza, la mancanza di risorse finaziarie o di volontà politica. Una parte di questo mondo della cittadinanza attiva vive questa esperienza sulla base di una motivazione che si può ricondurre al tema della solidarietà. Ora, la parola “solidarietà” in Italia è spesso usata in forma polemica nei confronti di un modello sicuramente antisolidale, legato al successo; tutta una parte di questo mondo, invece, è legata alla solidarietà in senso stretto, cioè all’idea di un impegno a sostegno dei più deboli, di una responsabilità dei più forti nei confronti dei più deboli. Queste reti sono costituite da organizzazioni tradizionali, storicamente collegate alle grandi famiglie culturali e politiche italiane, i cattolici e i comunisti (Acli, Arci ecc.), oppure da nuovi movimenti, associazioni, organizzazioni, realtà di base, che magari provengono sempre dal mondo cattolico o dal mondo comunista oppure da nessun mondo in particolare, senza avere però un legame diretto con i partiti. In queste reti della solidarietà si ritrovano in genere due atteggiamenti di partenza: uno che tende a prendere le distanze, a marcare l’autonomia in quanto cittadini, da sindacati e partiti; l’altro, nel quale c’è la consapevolezza che i cittadini hanno una responsabilità politica che va oltre e non coincide necessariamente con i partiti, ma che deve, tuttavia, misurarsi con i problemi della politica. Gli ultimi referendum, quelli sull’informazione in particolare, sono stati largamente promossi da organizzazioni che si potrebbero definire come appartenenti alle reti della solidarietà e costituiscono il segno più recente del loro avvicinamento alla politica in senso stretto.
Ci sono, pertanto, questi due movimenti, uno che dal mondo politico tradizionale si allontana, e uno che da una posizione di maggiore estraneità si avvicina invece al mondo della politica.
Rispetto all’ultimo decennio c’è stato un cambiamento nel rapporto con la politica da parte del terzo settore?
Sì, credo che ci sia stato qualcosa di nuovo, nel senso che è aumentato il senso di un’autonoma responsabilità politica dei cittadini, che non si confonde più con quella dei partiti. Un po’ in relazione a Tangentopoli e alla sparizione dei partiti dalla scena, un po’ in relazione a quel senso di autonomia che i cittadini italiani hanno conquistato nei confronti dei partiti e che si è manifestato, ad esempio, nel referendum sulla preferenza unica; tutto questo negli anni ’90 è cresciuto, anche se è vero che rimangono atteggiamenti di dipendenza dal mondo dei partiti, dallo Stato, dalle istituzioni, magari espressi sotto forma di richiesta di assistenza, di aiuto, di sovvenzione, volendo ancora una volta che lo Stato si occupi di queste associazioni. Negli ultimi mesi c’è stata una discussione fra le leadership di queste organizzazioni riguardo alla possibilità che nel quadro della riforma dello stato sociale -e quindi della diminuita presenza pubblica nella gestione dei servizi dello stato sociale-, si dovesse chiedere un sostegno diretto alle organizzazioni sotto forma di contributi, facilitazioni oppure se si dovesse semplicemente chiedere una politica di defiscalizzazione come avviene negli Stati Uniti. Quelle organizzazioni che si misurano con un certo tipo di consenso dei cittadini avranno più risorse, quelle, invece, che non riescono ad esprimere niente di nuovo ne avranno di meno. Questa discussione c’è stata ed è significativo che ci sia stata.
L’intervento del terzo settore riesce a bilanciare l’abbandono di certi servizi da parte dello Stato?
E’ difficile dare una risposta univoca a questa domanda in questo momento perché si tratta ...[continua]

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