Ugo Ascoli è docente di Sociologia presso la Facoltà di Economia di Ancona di cui è anche preside. Esperto dei problemi legati al welfare state, da tempo è attento studioso del terzo settore. Ha scritto numerosi saggi, I’ultimo dei quali proprio sulle organizzazioni no profit ( Il welfare mix, Franco Angeli ’94).

No profit, terzo settore, volontariato, qual è la definizione più giusta che può rendere conto del fenomeno?
Il problema della definizione è un problema irrisolto. Molte sono le definizioni che circolano nella letteratura sociologica a seconda delle caratteristiche che il fenomeno ha assunto nei diversi paesi. Sono state date diverse definizioni che mettono in evidenza aspetti peculiari: in Inghilterra si parla di voluntary reserve cioè di settore volontario, negli Usa invece viene coniato il termine "no profit" che si riferisce ad una serie di organizzazioni che non distribuiscono utili tra i propri associati, ma l’eventuale profitto viene reinvestito a vantaggio dell’attività.
Accanto al no profit viene ultimamente usato sempre di più il termine "terzo settore" che si riferisce a quei soggetti che non sono Stato né imprese private a fini di lucro. Evidentemente anche questa definizione indica gruppi diversi tra loro e di conseguenza i criteri di distinzione diventano molteplici. Uno potrebbe essere la formalità o meno dell’organizzazione, comprendendo in tal modo sia il gruppo di quartiere che svolge una piccola attività che un’organizzazione internazionale come la Croce Rossa che ha rapporti con i governi, interviene nei conflitti, ed è sicuramente una struttura no profit. Un altro criterio sarebbe la distinzione tra chi offre servizi ai propri membri e chi invece li offre a terzi. Per esempio, i gruppi di auto-aiuto, di self help operano a partire da un bisogno. Ecco allora gli "alcolisti anonimi" o i malati che a causa di un intervento chirurgico hanno subito un determinato danno fisico. Ma ci sono, inoltre, organizzazioni che offrono servizi a terzi, per esempio l’Avis o altre che lavorano nel campo sanitario. Si potrebbe fare un’ulteriore distinzione tra chi offre servizi e chi no. Per esempio, vi sono organizzazioni che portano avanti battaglie di rilievo su problemi di principio, su tematiche sociali: le associazioni che si battono contro la discriminazione verso gli immigrati o quelle che lottano contro la ghettizzazione dei malati di Aids, o ancora il "Tribunale dei diritti del malato". Sono tutte esperienze che si mobilitano per fare pressione sulla struttura pubblica affinché funzioni meglio.
In ogni caso l’elemento unificante di questo arcipelago variegato è costituito dall’assenza di profitto...
Diciamo che è la non accumulazione e non distribuzione del profitto, perché l’utile ci può anche essere. C’è stata una ricerca recente, l’unica di respiro internazionale che abbia operato un confronto tra i vari paesi, sia tra quelli a capitalismo avanzato come la Francia, la Germania, I’Italia, che tra quelli del post-comunismo o altri mediamente sviluppati come alcuni paesi asiatici o l’Egitto. Ebbene, questo studio ha definito i punti principali per definire il terzo settore: a) La non distribuzione dei profitti; b) La capacità di auto-organizzarsi, quindi la non dipendenza dalla pubblica amministrazione; c) Un minimo di formalizzazione, quindi uno statuto; d) Il coinvolgimento di volontari, che però non rappresentano più la caratteristica principale.
Solo adesso, infatti, ci stiamo abituando a considerare il volontariato solo come uno fra i soggetti che operano nel terzo settore e neanche il più importante. Ma se usassimo i criteri definiti dalla ricerca, dovremmo mettere tra le associazioni no profit anche la "Bocconi" di Milano o l’Università di Urbino che sono strutture private senza fini di lucro!
Quali sono le origini del no profit? Dove nasce, come si sviluppa? Si afferma maggiormente in quei paesi con minore presenza dello Stato?
Sì, forse questo è vero per la storia recente, ma se vogliamo risalire alle origini del no profit dobbiamo andare all’800, quando lo stato sociale non esisteva.
Il welfare state, così come lo chiamiamo oggi, nasce negli anni ’40. In una situazione come quella la società si era auto-organizzata per difendersi dai problemi sociali. La stessa Italia che oggi sembra più indietro rispetto alle politiche sociali se confrontata con gli altri paesi occidentali, allora aveva una miriade di Società di mutuo soccorso che erano dei veri e propri ...[continua]

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