Tonino Perna insegna Sociologia economica all’Università di Messina. E’ direttore generale del Cric (Centro Regionale di Intervento per la Cooperazione) di Reggio Calabria.

Puoi spiegare cos’è la cooperazione sud-sud?
L’idea della cooperazione sud-sud è nata dalla constatazione che, sebbene il nostro reddito pro-capite sia nettamente più alto di quello dei paesi del cosiddetto terzo mondo, e più alti, soprattutto, siano i consumi, tuttavia condividiamo con il sud del mondo il fatto di dipendere da un’economia mondiale sempre più centralizzata, rispetto alla quale anche noi siamo periferia, zona marginale, sud insomma. Eravamo convinti, -e la pratica in questi 12 anni ce l’ha confermato-, che molte idee e progetti, che maturano in comunità e gruppi del Brasile, dell’Ecuador, del Nicaragua, possono essere trasferiti qui, cum grano salis, così come alcune esperienze nostre possono avere qualche utilità per loro. In altre parole, la cooperazione sud-sud non deve essere vista come una donazione a senso unico da parte di chi ha a chi non ha; si tratta piuttosto di uno scambio, vicendevole, di esperienze, di progetti: per esempio il primo progetto che attuammo fu un programma di informatizzazione della pubblica amministrazione nel Nicaragua sandinista e uno dei primi progetti che importammo a Reggio Calabria fu un programma di animazione sociale per quartieri popolari e degradati, proveniente dal Brasile. Eppoi, visto che gli stati nazionali si ridurranno sempre più a stati di polizia, -non a caso Dahrendorf ha scritto che il modello sarà costituito da Singapore o dalla Cina, ossia da uno stato autoritario che non conta nulla sul piano della politica economica e sociale-, e che in futuro la scena sarà occupata da istituzioni internazionali (Onu, Cee, Fao, ecc.), da un lato, e organizzazioni locali, dall’altro, noi, in quanto organizzazione locale che si occupa di cose internazionali, crediamo molto nella creazione di reti locali che diverranno sempre più importanti nello scenario internazionale. Credo che questa sia l’unica soluzione alla crisi irreversibile degli stati così come li abbiamo conosciuti. Per questo noi ci rivolgiamo a comunità e gruppi locali, saltando il livello della cooperazione governativa e ministeriale, che ci pare sempre più fallimentare. A questo proposito faccio un esempio. In Albania, come Cric, abbiamo messo su delle cooperative di abbigliamento, un settore industriale che nessuno finora ha finanziato, perché tutti sono andati solo a distribuire aiuti alimentari. Il governo italiano ha speso 450 miliardi in Albania e l’unica cosa che si vede di questa spesa è un tratto di strada fra Tirana e l’aeroporto, tutto il resto se n’è andato in aiuti alimentari, in visite di esperti, in training per formare il personale, ecc. Oppure penso all’epidemia di colera che si è sviluppata in Albania a fine ’94: con 180 milioni abbiamo realizzato l’intervento di prevenzione colera, prima di terapia quando è scoppiato, poi di prevenzione. L’ufficio emergenza del Ministero Affari Esteri ha stanziato, invece, 500 milioni per l’intervento di necessità sul colera: 280 milioni sono finiti agli esperti, andati sul posto per capire qual era il fabbisogno di medicinali, solo una minima parte è stata spesa in attrezzature, ma con tempi che sono stati molto più lunghi dei nostri, anche se loro avevano a disposizione aerei, mezzi economici... Quando parlo di fallimento della cooperazione governativa intendo proprio questo. Se la cooperazione governativa è fallita, allora bisogna creare una cooperazione decentrata, popolare, che coinvolga gli enti locali, le associazioni locali, le Università. Questa è la nostra scommessa.
Malgrado voi facciate cooperazione soprattutto in Africa o America latina, è il Mediterraneo ad avere molta importanza per voi. In che senso?
Sì, noi siamo partiti dal Mediterraneo. Nell’87 organizzammo, qui a Reggio Calabria, il primo “Festival del Mediterraneo” in Italia, cui parteciparono relatori provenienti da 12 paesi diversi, nonché molte realtà associative e culturali del Mezzogiorno. Bene, che cos’è per noi il Mediterraneo? Innanzitutto, direi che è a fondamento della nostra identità meridionale. La storia del Mezzogiorno negli ultimi 40 anni è la storia di una continua fuga dal mondo mediterraneo. Prima si è inseguito l’aggancio con il Nord Italia, poi con il Nord Europa, finché ora c’è il nulla, essendo state distrutte molte culture locali: noi non potremo mai essere altoat ...[continua]

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