Siusi Casaccia e Maura Diodato, avvocate, Francesca Piccinini e Luigia Alessandrelli, consulenti, con Patrizia Casci e Riccarda Rossetti, psicologhe, fanno parte dell’Associazione Donne e giustizia, che ha sede ad Ancona.

Come nasce il vostro gruppo?
Luigia. L’Udi, anzi una donna dell’Udi, nel 1983 ebbe un’idea: fare un opuscolo informativo sulle leggi che riguardavano le donne. Questa era un tipo "vulcanico", sempre piena di idee. Io mi ero avvicinata all’associazione dopo un articolo letto sul Manifesto, relativo alle tematiche femministe. Mi ero appena laureata in legge e lì ho incontrato Concetta e Stefania, anch’essa dalla facoltà di Giurisprudenza. L’opuscolo voleva affermare il punto di vista di noi donne sulle questioni dei diritti e della giustizia. Nel frattempo si era costituita la Biblioteca delle donne, e così il libretto fu pubblicato con quel marchio editoriale. Intanto avevo iniziato a fare la professione e conosciuto anche Siusi. Verificai presto che anche lei, come me, non era contenta di come svolgeva la professione. Non ci piaceva il rapporto che si era instaurato con i vari avvocati, e volevamo fare una consulenza rivolta alle donne, instaurando relazioni diverse da quelle tradizionali. Così abbiamo costituito il gruppo "Donne e giustizia". L’intento era di fare un’opera di informazione e di consulenza per le donne. In particolare allora ci occupavamo di diritto del lavoro, perché pensavamo che i problemi delle donne fossero in gran parte legati a quella sfera. In realtà è bastato poco tempo per farci cambiare idea. Già nei primi incontri dentro la sede dell’Udi ci siamo trovate a occuparci fin da subito di diritto di famiglia e, in particolare, di problemi connessi alla separazione.
Nel corso dei colloqui ci venivano raccontate soprattutto le violenze che le donne subivano. Inizialmente siamo rimaste un po’ sconcertate da questa cosa. In sostanza, tutte le donne che si presentavano raccontavano che all’interno delle famiglie ci si picchia, ci sono violenze. E le percentuali che abbiamo raccolto con i questionari, più o meno, coincidono con quelli raccolti in altri luoghi. Diciamo che il 50% delle donne che si rivolgevano a noi, come negli altri centri, dichiaravano di subire violenza all’interno delle mura domestiche.
Siusi. Un problema che emergeva, e che emerge tutt’oggi, è il rapporto di sudditanza, di fronte al potere, alla forza fisica, ma anche rispetto alla forza del potere economico che esiste dentro la famiglia, data la sua struttura. Problema, quest’ultimo, al quale non c’era e non c’è tuttora una risposta adeguata come tutela giuridica. In particolar modo quando una persona deve affrontare il problema della separazione. La questione è chi gestisce le risorse economiche della famiglia, e qui la donna è ancora un soggetto debole, anche se ciò può sembrare in contraddizione con l’immagine che si tende a dare oggi della donna, come soggetto pienamente inserito nella sfera lavorativa.
Luigia. C’è da dire che dai questionari sul tipo di percezione che le donne avevano dei loro diritti, emergeva "un’ignoranza" in proposito. Alla domanda se ritenevano di avere diritti, e a quella successiva che chiedeva loro se ritenevano ci fossero interessi non tutelati (che invece avrebbero dovuto esserlo), leggevamo risposte alquanto fantasiose: il diritto di uscire tutti i giorni e non solo ogni tanto, il diritto ad essere felice, il diritto ad essere trattata come una persona, il diritto di mio figlio ad avere un padre... Dopodiché ponevamo quesiti su ciò che per l’ordinamento costituisce reato: percosse, sequestri, lesioni gravi, e le risposte molte volte erano affermative. Però, appunto, di fronte alla domanda sui diritti violati, ti rispondevano col diritto alla felicità. Insomma, una serie di cose che con le leggi c’entravano poco. Poi piano piano abbiamo capito che avevano ragione loro! Perché delle leggi così come sono, laddove c’è un conflitto tra uomo e donna, se ne facevano poco.
Il questionario chi raggiungeva?
Siusi. Lo davamo alle donne che venivano al Centro. A volte facevamo direttamente le domande, in altri casi aiutavamo a compilare il questionario. Cercavamo di accentuare gli interrogativi sul perché della scelta di rivolgersi a noi, sui motivi che avevano fatto scattare il bisogno di chiedere aiuto.
C’è da dire che anche se ormai siamo strutturate come collettivo che dà consulenza giuridica e psicologica, spesso dietro la classica domanda: "che succede se ...[continua]

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