Federica Musetta è coordinatrice nazionale dell’Unione degli Universitari, Udu, Giorgio Paterna è responsabile didattica dell’Udu.

Possiamo parlare del movimento studentesco dell’Onda? Com’è nato?
Federica. Direi che una delle caratteristiche principali di questo movimento è che per la gran parte è composto di studenti che non hanno un passato di militanza in partiti o organizzazioni, molti proprio non si sono mai impegnati politicamente in nessun senso e verosimilmente non hanno neanche interesse per un’eventuale attività politica futura. Questa è già una grossa novità rispetto al passato.
Questi studenti hanno visto i provvedimenti messi in campo dal governo, li hanno studiati, li hanno analizzati, hanno intravisto la loro portata distruttiva sull’università e spontaneamente si sono mobilitati.
Tant’è che l’Udu è presente come realtà tra le altre, non come struttura organizzata rappresentativa. Qui non si tratta di mettere la bandierina, o il famoso cappello, ma di essere presenti, portando i nostri contenuti (in fondo vantiamo quindici anni di attività nell’Università). Noi siamo dentro il movimento come lo sono i rappresentanti degli studenti della facoltà di lettere, i rappresentanti degli studenti in consiglio di amministrazione.
Abbiamo deciso di aderire al movimento proprio perché apprezziamo la spontaneità che lo caratterizza, e per la libertà della critica. In fondo, per quanto il governo abbia strumentalizzato la protesta, noi sappiamo che ci sono anche studenti che dichiaratamente hanno votato il governo in carica.
Questo poi è un movimento molto coscienzioso, se posso dir così, tant’è che non è partito dalle occupazioni, dalle manifestazioni, ma da assemblee di corso di laurea, di facoltà, fino a passare alle assemblee d’ateneo. In tantissimi atenei italiani oggi ci sono gruppi di studio che vagliano passo passo questa legge, la famigerata 133. Si chiede in particolare l’abrogazione di due articoli della 133, l’art. 16 e l’art. 66. Sono gli articoli che sanciscono il taglio dei finanziamenti: nell’arco di cinque anni si arriverà a tagliare un miliardo e mezzo di euro, qualcosa come il 25% delle risorse che vengono stanziate per l’università. E poi c’è il blocco del turn-over, ovvero per i prossimi tre anni, dal 2009 al 2011 ogni cinque persone, docenti e personale che andranno in pensione potrà esserne assunta una sola. Terza cosa, drammatica, è la possibilità di trasformare le università in fondazioni di diritto privato. Ora, anche qui il governo mette i puntini sulle i, dicendo che è una possibilità, ecc. Certo che, però, se io unisco i grandi vantaggi che ci sono nel trasformarsi in fondazione ai tagli, insomma, il combinato disposto, come direbbero i migliori sindacalisti, rende questa formula non solo una tentazione, ma quasi una costrizione. Perché a fronte di una situazione di carenza di fondi, passare a una fondazione privata vorrebbe dire non solo beneficiare delle agevolazioni tributarie, ma anche sottrarsi a tutta una serie di vincoli. Ne cito uno. Attualmente, c’è un decreto del Presidente della Repubblica che prevede che la quota di bilancio dell’università derivante dalle tasse degli studenti non possa superare il 20% della quota di finanziamento che l’università riceve dalle Stato. Ecco, se questo vincolo viene meno è prevedibile che ci sarà un aumento delle tasse universitarie.
Possiamo entrare nel merito delle questioni?
Federica. Partiamo dal blocco del turnover. Il decreto 31 del ottobre del 2007 in qualche modo lega il numero dei docenti a quello degli studenti. In pratica, fino a un tot di studenti è sancito un numero minimo di docenti per potere aprire un corso di laurea. Superata questa soglia il numero dei docenti cresce proporzionalmente al numero degli studenti iscritti. Allora, di fronte ad una situazione di questo genere, con i docenti che andranno in pensione, si aprono due strade che sono o la chiusura dei corsi di laurea o l’introduzione indiscriminata del numero chiuso.
Ora è vero che in Italia ci sono troppo corsi di laurea, tra l’altro alcuni, come “scienze del fiore e del verde”, o “benessere del cane e del gatto”, insomma, abbastanza discutibili. Quello che qui viene contestato è che, in questo modo, i corsi verranno chiusi a caso, solo sulla base dell’anzianità dei docenti, casomai lasciando intatti quelli di cui sopra.
Il blocco del turnover, poi, va a impattare anche sulla schiera di ricercatori precari che sono destinati a riman ...[continua]

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