Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto”. Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico.

Sei rientrata dall’Iran da pochi giorni, dopo aver assistito agli ultimi giorni di campagna elettorale e alle prime manifestazioni di contestazione dell’esito del voto. Puoi raccontare?
Dico subito che ho lasciato l’Iran perché avevo avuto un visto solo per sette giorni, e l’avevo avuto due giorni prima del voto, benché l’avessi chiesto molto tempo prima. Ero arrivata pensando: "Va beh, chiedo subito un’estensione...”, è la prassi, invece ho scoperto che tutti i giornalisti avevano avuto visti così brevi, e il giorno dopo il voto, cioè sabato, il giorno in cui riaprono gli uffici, quando sono andata a chiedere un’estensione, mi è stato risposto: "No, è stato deciso dall’alto che nessun visto verrà esteso, perché tanto non ci sarà un ballottaggio e quindi non c’è più motivo di restare qui”. Eppure normalmente venivano dati visti per quindici giorni. Comunque non sono stata espulsa, l’unico espulso è stato il corrispondente della Bbc qualche giorno fa.
Venendo alla campagna elettorale, devo dire che è stato un momento di grandissima partecipazione, di grandissimo interesse. Io ho seguito altre campagne elettorali in Iran, sempre molto partecipate, molto vivaci, ma questa lo è stata in maniera particolare, anche perché aveva inaugurato alcune novità per la vita politica iraniana. Intanto c’erano stati i confronti faccia a faccia tra due candidati in televisione, una cosa mai accaduta e che ha attratto moltissimo interesse. Ma poi c’erano state moltissime occasioni di dibattiti, confronti, manifestazioni, cortei… era come se tutti si fossero messi a parlare, e a parlare di tutto.
I confronti televisivi erano stati stupefacenti e in realtà a posteriori danno anche qualche indicazione su che cosa è successo dopo. I candidati erano quattro, grosso modo, due del campo conservatore e due del campo riformista. Nel campo riformista c’erano Mir-Hussein Moussavi e Mehdi Karroubi. I due conservatori erano il presidente uscente, Mahmud Ahmadinejad e Mohsen Rezai, un ex comandante dei Guardiani della rivoluzione, una persona molto interna all’apparato di sicurezza del regime, che si è schierata contro Ahmadinejad, attirando fra l’altro i voti di molti conservatori.
Una cosa che si sottolinea poco è che Ahmadinejad, che pure ha un indubbio consenso in Iran, in realtà in questi quattro anni ha governato quasi contro il Parlamento, che pure è a maggioranza della sua gente, della sua corrente; è stato ostacolato e beccato su tantissime questioni dalla maggioranza conservatrice: dalla legge finanziaria alle varie misure di politica economica; ci sono stati degli scandali, diversi ministri si sono dovuti dimettere. Insomma, pur avendo un Parlamento della sua maggioranza, in realtà Ahmadinejad ha avuto vita molto difficile.
Ma torniamo ai dibattiti. Il primo è stato appunto tra Ahmadinejad e Mir-Hussein Moussavi, che non è un uomo nuovo e tuttavia è tra coloro che durante la campagna elettorale hanno cominciato a dire che l’Iran aveva bisogno di evolvere verso forme di democrazia più certe e di mettere in pratica la sua Costituzione repubblicana (che dà ampie garanzie dei diritti umani, dei diritti civili, eccetera). Quindi in questo senso è propriamente un riformista, nel senso di una persona che si batte per un’evoluzione interna del regime. Ecco, nel primo di questi dibattiti, Ahmadinejad ha attaccato, più ancora che il suo sfidante, come sarebbe stato ovvio, Rafsanjani, grande vecchio della Repubblica islamica, presidente della Repubblica per due mandati, dall’89 al ’97, e persona molto potente, che tuttora presiede due delle istituzioni più importanti della Repubblica, il Consiglio per il Discernimento delle Scelte e l’Assemblea degli Esperti, un organismo elettivo (il primo è per nomina) di teologi, che ha il potere di nominare la Guida Suprema o di dimetterla.
Attaccare Rafsanjani è stato un colpo da maestro, dal punto di vista della campagna elettorale, perché parliamo della persona che ha avviato la fase della cosiddetta ricostruzione e della prima liberalizzazione economica dopo la lunghissima guerra Iran-Iraq, che aveva dissanguato il Paese.
In quel dibattito Ahmadinejad ha fatto accuse che non erano mai state pronunciate in televisione (magari si dicono per strada o al bar), cioè gli ha dato del ladro, corrotto, mafioso, il padrino di tutte le mafie, e questo, ripeto, è stato ...[continua]

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