Lisetta Carmi, 85 anni, fotografa, vive a Cisternino, in Puglia.

Io sono di una famiglia ebraica, una bella famiglia. Mio padre era un uomo affascinante, bellissimo, e la mamma era un’artista, una donna di grande cultura, era laureata, ti puoi immaginare: era nata nel 1886 e si era laureata a Firenze. Papà invece aveva cominciato a lavorare da giovane, ed era un uomo molto pratico, molto forte, per cui devo dire che abbiamo avuto un’infanzia, io e i miei due fratelli, da una parte molto bella, perché ci portavano in montagna, al mare, a sciare, ci han fatto studiare le lingue da giovanissimi, però erano anche molto severi.
Io poi ero una bambina molto ribelle, e a sei anni ho deciso che non mi sarei mai sposata. Mai. La mamma era un’intellettuale, molto spirituale, ma era il papà che comandava in casa. E allora io un giorno gliel’ho detto: "Io non voglio padroni, non mi sposerò mai!”. Quando l’ho ricordato a mia madre, che aveva già settant’anni, lei mi ha detto: "Ma tu capivi così tanto, quand’eri bambina?”. E io le ho detto: "Sì, vedevo tutto, capivo tutto!”, ed è per quello che io ho un grandissimo rispetto per i bambini, perché i bambini capiscono tutto, vedono tutto, e sono però, in gran parte, comandati dai genitori. Cioè la famiglia è un luogo anche di sopraffazione, c’è una violenza che ha origine nell’incomprensione della grande capacità dei bambini.
Io lo dico sempre a tutti: "Mi raccomando, non educate i vostri figli, dategli l’esempio”.
La mia famiglia è in Italia da 500 anni, e anche se non siamo osservanti, nessuno, io sento fortissima la mia ascendenza ebraica.. Questa mia origine mi ha lasciato una sorta di eredità di sofferenza del popolo ebraico, che mi ha portato a capire tutti quelli che soffrono, che non hanno voce, che non possono parlare, le classi subalterne, quelli che sono schiacciati dal potere. Ed è questo che ha ispirato tutta la mia vita, sempre. Quand’ero piccola ero sempre dalla parte delle donne di servizio. Poi, crescendo, sono sempre stata dalla parte dei più deboli, di quelli che non possono parlare, che non hanno la forza di parlare, che non hanno la forza di far valere le loro ragioni.

Durante le persecuzioni razziali io sono stata espulsa dalla scuola. Essendo nata nel ’24, nel ’38 avevo 14 anni. Quello è stato un dramma tremendo per me. I miei fratelli sono partiti subito per la Svizzera. Io all’inizio sono rimasta in Italia coi genitori, per via della musica. Per un po’ ho studiato pianoforte con dei professori privati. Poi, quando sono arrivati i tedeschi, siamo scappati attraverso le montagne. Ci siamo rifugiati in Svizzera. Io mi ricordo che non volevo partire al che ho detto a mio padre: "Io non vengo, voglio fare la partigiana”, lui, poveretto, non sapeva cosa dire: "Fai quello che vuoi, però non sai il dolore che ci daresti. Là in Svizzera troviamo i tuoi fratelli, ma dovremo preoccuparci per te che stai qui”.
Nel ’43 io avevo già 19 anni e al momento di partire ho desistito: "Va bene, vengo anch’io con voi”. Abbiamo trascorso due anni in Svizzera. Io sono andata al conservatorio dove mi hanno accolto subito, ero brava. Poi, appena finita la guerra, sono tornata alla carica: "Voglio tornare in Italia”. E mio padre: "Ma Lisetta, aspetta un momentino, dacci un mese di tempo. Se non ci rimpatriano entro un mese, ti lascio andare” e così dopo un mese sono partita, di nuovo per le montagne, e sono tornata in Italia.
Loro mi hanno raggiunto poi in settembre.
E’ stato molto duro per me, perché sono rimasta nella solitudine più bieca. Adesso la solitudine mi piace moltissimo, ma quando uno è giovane, la solitudine è molto dura. Infatti io ero molto triste, ho passato dei periodi di grandissima tristezza.
Poi per anni ho letto tutti i libri sui campi di concentramento. Lo faccio tuttora. Pensa che il libro di Primo Levi, Se questo è un uomo, venne rifiutato dall’Einaudi, la prima volta che lui lo presentò. C’erano la Ginzburg e Vittorini, mi sembra, che dissero: "No, no, è un brutto libro”, allora lo pubblicò De Silva.
Io ho la prima edizione, che vale un sacco di soldi, adesso, perché l’ho comprato subito, appena è uscito. L’avevano stampato su una cartaccia orrenda, di guerra, proprio brutta. L’ho letto e riletto tante di quelle volte, anche I sommersi e i salvati, tutti i libri di Primo Levi… Sempre mi sono immedesimata in chi ha dovuto affrontare l’esperienza tremenda dei campi di concentramento.

La mia vita è iniziata nella musica, ...[continua]

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