Ugo Forello, avvocato, è tra i fondatori di Addiopizzo.

Com’è nato Addiopizzo?
Addiopizzo è nato assolutamente per caso. Tutto è cominciato con il famoso attacchinaggio di adesivi anonimi listati a lutto con su scritto "Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”.
Allora eravamo sette amici tutti neolaureati, chi in giurisprudenza, chi in medicina, chi in filosofia, chi in psicologia. Tra l’altro non ci occupavamo direttamente di mafia. Fino a quel momento ci eravamo interessati di altre tematiche un po’ più globali, il problema degli immigrati, l’ambiente, l’economia etica e solidale, avevamo collaborato con la banca etica.
Nessuno di noi aveva avuto contatti diretti con realtà partitiche, per quanto ognuno avesse le sue simpatie. Ricordo che quando Orlando si presentò la prima volta ero molto contento, poi mi ha ampiamente deluso, ma questo attiene al dopo.
Comunque all’epoca volevamo aprire un pub equo e solidale a Palermo, una sorta di centro culturale che prevedesse anche la vendita di prodotti equi e solidali, unendo così l’utile e il dilettevole. Essendo in sette ci eravamo organizzati in modo tale che ciascuno di noi a turno fosse il referente della serata, quindi vendesse birra, ma nello stesso tempo interloquisse con i clienti.
Avevamo trovato il locale, in via Candelai, una via del centro di Palermo molto frequentata da giovani, e mentre facevamo le valutazioni tra poste attive e passive, è uscito il problema pizzo, come posta negativa.
Siccome nessuno di noi aveva intenzione di cedere a una cosa del genere, ci siamo un po’ informati sul problema, e ci siamo resi conto che a Palermo, in quel periodo, era il 2004, c’era un silenzio assordante nella città. Io non credo che tutti i commercianti di Palermo paghino il pizzo, come non lo credevo allora, però che ci fosse una buona percentuale di attività sottoposte a questa pratica era un dato di fatto. E allora lì ci siamo posti il problema. A livello teorico ovviamente. Anche perché all’indomani dell’iniziativa degli adesivi, il proprietario dell’immobile è tornato sui suoi passi. Avevamo trovato un accordo molto vantaggioso: un immobile di 60mq a 200 euro, praticamente regalato, ma solo perché il proprietario era a conoscenza che dovevamo aprire un’attività etica e solidale. Appena saputo che eravamo noi gli autori di questa iniziativa, che quindi eravamo delle "teste calde”, ce l’ha tolto, anche perché lui abitava di sopra, e probabilmente ha avuto paura, è giustificabile.
A quel punto il pub non l’abbiamo più aperto, anche perché quei locali erano un’occasione davvero unica. Però quel silenzio e quella situazione così generalizzata ci aveva impressionato.
Puoi raccontare dell’attacchinaggio?
Devo dire che avevamo pensato all’iniziativa dell’attacchinaggio come a una piccola provocazione, a cui sarebbe seguita una lettera, sempre anonima, al Giornale di Sicilia o a Repubblica, per farcela pubblicare nello spazio delle lettere. Questo era il nostro progetto.
Una sera -era il 29 giugno- siamo andati a fare l’attacchinaggio di questo adesivo anonimo con la frase "un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”, senza nient’altro, né un numero di telefono, niente, che abbiamo appiccicato in tutta la zona centrale, vicino ai negozi, sulle cabine telefoniche, e via dicendo. Il giorno dopo è successo quello che mai ci saremmo aspettati. Evidentemente la città era talmente povera, vuota di iniziative del genere che la nostra idea ha scatenato un putiferio. Eppure, per carità, era una bella iniziativa, forse anche intelligente, ma io non l’ho mai vista come una cosa così geniale, o forte.
Due giorni dopo c’era la notizia in prima pagina. Anche il tg regionale l’ha data come notizia d’apertura.
Addirittura si è riunito il Comitato per l’ordine e la sicurezza di Palermo, perché si pensava a un’azione di provocazione della mafia, o all’azione di un imprenditore disperato.
Noi, devo dire, ci siamo svegliati con l’impressione di vivere, da una parte in un sogno, dall’altra in un incubo. C’era chi aveva paura, chi era più esaltato, ma il sentimento più forte e comune era l’incredulità.
Dopo due giorni siamo usciti con un’intervista anonima sul Giornale di Sicilia, in cui spiegavamo che l’iniziativa era stata fatta da un gruppo di giovani, provavamo a illustrare le nostre motivazioni, e davamo un indirizzo email per tutti quei cittadini che condividessero l’idea, la provocazione, e comunque lo sdeg ...[continua]

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