Francesca Passarelli, 32 anni, vive a Verona.

Il mio ruolo era quello di "far fare bella figura all’azienda”. Facevo la centralinista ed il front office, ero l’interfaccia dell’azienda stessa con i clienti, gli enti, i vari fornitori e utenti.
L’ultimo periodo è stato duro: dovevo giustificare pagamenti non fatti e altri comportamenti aziendali che tra l’altro si ripercuotevano anche su di me, perché anche noi dipendenti avevamo il problema dello stipendio sempre più in ritardo, anche noi sentivamo il terreno tremarci sotto i piedi, anche noi eravamo spettatori del crollo di una azienda leader del settore dell’impiantistica industriale.
Amavo molto il mio lavoro, i colleghi e l’ambiente: era una grandissima famiglia e se le cose fossero andate bene, non avrei chiesto di meglio, perché c’era confidenza e fiducia: andavo a lavorare cercando di dare il meglio di me stessa, magari in certi momenti arrivavo all’orlo di una crisi di nervi, però poi chiudevo l’ufficio con una sorta di soddisfazione personale data dalle persone che mi vedevano come punto di riferimento e questo mi appagava non poco. Nei primi tempi lavorare per questa società era grandioso, mi sentivo dipendente di un’istituzione statale ed ero orgogliosissima di farne parte.
Prima di arrivare qui avevo fatto altri lavori. Avevo fatto l’apprendistato presso una concessionaria di automobili dove ho imparato tantissimo soprattutto grazie ad una ragazza che mi ha fatto da Cicerone insegnandomi tantissime cose, tra cui l’utilizzo del computer. Dopo la concessionaria ero andata a lavorare in una grossa impresa edile di Verona. Alle spalle ho una famiglia di geometri (mio papà, i miei zii, tutti i cugini) e finalmente ero riuscita a capire cosa voleva dire il mio papà quando mi parlava di certe cose tecniche. In quella ditta mi occupavo della parte burocratica che c’è dietro un qualsiasi progetto edile, un mondo complesso ma interessantissimo: la qualità, la sicurezza nei cantieri, la contabilità stessa di cantiere. Poi alla fine del progetto che seguivo, ho cercato di avvicinarmi a casa e sono stata chiamata in una società del grande gruppo. Qui mi occupavo sempre delle pratiche burocratiche, le licenze, le concessioni per la costruzione e lo sviluppo dei centri commerciali. Era molto stimolante come lavoro, pieno di cose da imparare, da fare, facevo tardi tutte le sere ma mi sentivo appagata. Dopo circa un anno e mezzo si è presentata l’opportunità di passare in quest’ultima società e sono stata chiamata a coprire il ruolo di front office e segreteria. Il lavoro benché più semplice di quelli fatti in precedenza mi piaceva moltissimo: i colleghi erano stati tutti gentili ed accoglienti fin da subito e sentivo ogni giorno il desiderio di dare il meglio di me... Ho lavorato per due anni e mezzo in questa realtà: il tempo giusto per sentire quel lavoro completamente mio.

La perdita del posto l’ho vissuta come uno smacco personale, un tradimento. Pensavo di essere parte della famiglia, invece quando la situazione ha iniziato a essere critica, le spiegazioni che chiedevo non ricevevano risposta e intanto chi chiamava in azienda esigeva risposte da me. Il mio compito è diventato difficile. A un certo punto l’amministrazione ha smesso di rispondere di pomeriggio, poi rispondeva solo tre mattine a settimana, infine è arrivato l’ordine di non rispondere più, rispondeva un’incaricata con il grave compito di non dire nulla di certo, di rimanere sul vago.
Era una ditta di impianti elettrici, nata dal nulla, in un paesino qui vicino, da un unico titolare, poi con quattro soci si era trasformata in una realtà molto grande, soprattutto a Verona, ma in generale nel Veneto, perché è diventata il punto di riferimento per l’impiantistica elettrica, idraulica, per i meccanismi di automazione ecc. per centri commerciali e tutto il settore industriale. Siamo arrivati ad avere anche 130 dipendenti, due filiali, una a Milano e una a Rovigo. Poi a crisi inoltrata i titolari hanno pensato che le filiali portassero (oltre al lavoro) anche molte perdite, così alla fine sono state assorbite e i dipendenti sono stati invitati a rientrare a lavorare in sede. Però i tragitti erano molto lunghi e molti di loro hanno rinunciato al posto, così alla fine del 2009 una trentina di dipendenti li abbiamo persi.
Ci siamo trasferiti in uno stabile di nuova costruzione ad aprile 2009, un edificio meraviglioso, d’impatto e in vista, da fuori sembrava la sede di una multina ...[continua]

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