Margherita Russo insegna Politica Economica alla Facoltà di Economia "Marco Biagi” dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia; Iari Nora è responsabile del progetto Officina Emilia.

Che cos’è Officina Emilia? Un museo-laboratorio per fare cosa?
Margherita Russo. Officina Emilia nasce da un progetto per connettere le scuole con il sistema delle imprese, per aprire un dialogo tra scuola e impresa che non sia astratto, ma finalizzato a far conoscere agli studenti cosa sono le imprese concretamente. Cosa vuol dire concretamente? Che, per esempio, quando entriamo nelle imprese per avviare questo dialogo, chiediamo che ci diano pezzi della loro produzione. Possono essere componenti semilavorati, scarti di lavorazione, le cose più svariate. Questo per avere esempi concreti di tecnologia su cui poi costruire un percorso per gli studenti, qui alle officine, che abbiamo chiamato "diario di viaggio”. Ad esempio, le ho fatto vedere una camicia per cilindro dinamico che ci ha dato la torneria GS. Non sappiamo a cosa serva, sappiamo solo, dalla scheda, che è in acciaio e pesa 26 chili. Osservando questo componente cercheremo allora di capire quali sono i materiali, quali le tecniche di lavorazione, mettendo insieme un database che poi andremo ad arricchire con una serie di informazioni che troveremo collegandoci all’impresa: cosa produce, come produce, eccetera.
Sono pezzi molto diversi, per materiali, per lavorazioni, per destinazioni d’uso, e ognuno di questi pezzi è in sé difficilmente intelligibile. D’altra parte io vedo un’automobile e so che serve per portarmi, vedo uno di questi oggetti, invece, e faccio molta fatica a capire che cos’è. Allora l’idea è anche quella di avvicinarsi, con questo viaggio nell’industria meccanica, alla varietà di elementi che costituiscono sia le cose che noi quotidianamente utilizziamo che quelle che la maggior parte di noi non userà mai, come i macchinari, che per noi sono proprio una scatola nera, nel senso che a malapena sappiamo a cosa servono.
Al centro della nostra "piazza” lei vedrà che abbiamo macchine diverse, come il tornio, alcune vecchie e altre più recenti e funzionanti, attaccate alla rete elettrica.
Ma andando nelle imprese cercate anche di conoscere "l’elemento umano”?
Russo. Certo. Abbiamo bisogno che le imprese che visitiamo si rendano comprensibili, aprendosi, e questo può essere complicato. Anche se devo dire che, fino ad ora, tutte le imprese incontrate hanno dimostrato una disponibilità molto apprezzabile a farci conoscere le molte dimensioni che noi vogliamo esplorare. Perché molte dimensioni? Perché ci interessa, appunto, che i ragazzi in visita conoscano non solo la tecnologia dell’impresa, ma anche l’intreccio complesso di macchinari e persone che usano quei macchinari, di prodotti che vengono utilizzati all’interno di altri prodotti, di mercati finali in cui quei prodotti sono usati; ci interessa indagare le interazioni tra le persone, dove le persone hanno imparato a fare le cose, perché l’impresa è in quel posto, perché è fatta in quel modo, perché ci lavorano quelle persone e non altre.
Qui a Modena abbiamo, tra l’altro, moltissime imprese, parecchie delle quali sono oggi grandi e rinomate, che sono nate perché l’attuale titolare, dipendente di un’impresa piccola o piccolissima, a un certo punto ha voluto tentare l’avventura di mettersi in proprio, e non solo per diventare un lavoratore autonomo, ma anche per sperimentare il lavoro con altri, per organizzarlo, per mettere in gioco investimenti che impongono delle scelte di produzione e di mercato, quindi per fare proprio ciò che fanno gli imprenditori. Sono storie che ci fanno capire che ci sono moltissimi percorsi.
Ma vi lasciano andare dove volete e parlare con chiunque?
Russo. Beh, noi sappiamo che ci possono essere ambiti di riservatezza rilevanti. Quando entriamo in un’impresa a fare delle riprese video, chiediamo immediatamente se ci sono zone dell’impianto dove sono in corso sperimentazioni su prototipi, che potrebbero mettere in difficoltà l’impresa nei confronti del cliente. Infatti in alcuni casi ci hanno detto: "No, quella roba lì no. Guardate quello che volete tanto non ci capite niente, però non portatevi via immagini di un pezzo di progettazione”. Ma a parte questo noi abbiamo chiesto alle imprese che ci hanno aperto le porte di farci vedere tutto, non solo luoghi positivi. Quando per esempio le abbiamo coinvolte in un progetto che si chiama "parole di lav ...[continua]

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