Roberta Tatafiore, femminista e giornalista, ha studiato a lungo il fenomeno della prostituzione e della sessualità femminile. A due anni dalla morte, la ricordiamo pubblicando un’intervista inedita raccolta nel 1995. Il libro di cui si parla è Sesso al lavoro, Milano, il Saggiatore. Le foto fanno parte di un ampio servizio sui transessuali fatto a metà degli anni ‘60, di Lisetta Carmi, che ringraziamo.

Affrontando la questione della prostituzione tu ti interroghi soprattutto sulle ragioni della cosiddetta "ascesa delle trans”, perché?
Intanto come donna, ma soprattutto come donna che si riconosce in un pensiero e in una pratica politica, non volevo assolutamente mettere a tacere questa forma di sbigottimento, di repulsione anche, e insieme questo desiderio di confrontarsi con delle figure, delle "creature”, lo dico in maniera un po’ estrema, inventate dagli uomini per neutralizzare la differenza sessuale, per non confrontarsi con la differenza delle "solo donne”. Ecco, l’aumento delle trans mi interessa perché nella prostituzione vedo avvenire un fenomeno che secondo me riguarda tutta la società e che io interpreto come una svalorizzazione forte del femminile. Cioè il femminile sta perdendo terreno: vince la parità, vince l’omologazione con gli uomini come unico modo per sanare il gap negativo della differenza e il femminile resta qualcosa di residuale. Mi sembra che stiamo assistendo a una civilizzazione in cui si verifica quello che diceva Norbert Elias e cioè che le donne non piangono più. Elias dice una frase bellissima: non si asciugano più le lacrime delle donne.
Ora quello che succede alla prostituzione riguarda il piano del desiderio, che è impeto, istinto, e però anche quello della cultura perché non è mai puro istinto bruto. La prostituzione è un terreno ai margini tra istintualità e cultura perché c’è sempre quest’ipoteca che è "il mestiere più antico del mondo”. Comunque lì è molto evidente la perdita di valore delle donne, delle "solo donne”.
Ora, in base alla letteratura esistente, al modo in cui normalmente si parla di queste cose, si tende a dire che questo fenomeno metterebbe in evidenza la pulsione omosessuale maschile, cioè gli uomini sarebbero omosessuali senza saperlo. Io invece vado oltre e dico: attenzione, non è una controtendenza, non è che gli uomini siano diventati froci, non c’è un "gusto” maschile in controtendenza con l’eterosessualità, che pare essere il cemento della prostituzione. Al contrario l’ascesa delle trans rivela una continuità, nel senso che svela come non mai la "monosessualità” maschile, cioè l’attrazione degli uomini per il proprio sesso, l’amore che lega gli uomini tra di loro. Un amore che fa legame sociale.
Da qui sono arrivata a ipotizzare una cosa che le donne trovano sconcertante, anche le mie amiche prostitute sono rimaste un po’ perplesse, vale a dire che in realtà in ogni prostituta lavora un travestito. È il "come tu mi vuoi”, la prostituta come l’oggetto manipolato dal desiderio maschile.
Quando cominciai a occuparmi di prostituzione, una mia amica di Bologna mi regalò la fotocopia di un disegno di Dalì, che aveva trovato in un libro, veramente stupendo, con questo tratto molto carnoso. Era un uomo con l’uccello in erezione di fronte a uno specchio che lo riflette. Ecco, questa è la prostituzione.
Nel momento in cui l’oggetto del desiderio è proprio uno che il pisello ce l’ha... Insomma, con la transessualità siamo proprio a un cortocircuito perfetto: io scopo con me stesso.
Il tutto salvando invece tutta la questione delle sembianze femminili: lì c’è un gran teatro, proprio mentre le donne sono invece stanche di far tanto teatro. Le prostitute andrebbero a lavorare in jeans e maglietta. Per esempio le tossiche, che sono una figura modernissima di prostitute, se ne fregano dell’apparenza, neanche si truccano perché sanno che quello che conta è che abbassano i prezzi e non usano il preservativo.
Comunque quello che volevo dire è che la monosessualità all’opera non è un fenomeno esclusivo della prostituzione, è una dinamica sociale. Una delle grandissime difficoltà con cui si scontrano e si scontreranno sempre i movimenti politici femminili è che non hanno a che fare con uomini oppressori e ostili, hanno a che fare con un sesso che ama se stesso. E scalfire questo connubio è quasi impossibile. È come nel film "Querelle” di Fassbinder, in cui c’è questa meravigliosa Jeanne Moreau che cammina come una svampita chiedendo ...[continua]

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