Nel gennaio 1951, i parlamentari emiliani Valdo Magnani e Aldo Cucchi uscirono dal Partito comunista, criticando la supina adesione del Pci alla politica estera dell’Unione Sovietica. Violentemente attaccati da Togliatti, vennero spregiativamente soprannominati "Magna­cucchi”. Diedero vita al Movimento lavoratori italiani (Mli) e poi, dal 1953, all’Unione socialista indipendente (Usi): due piccole formazioni politiche che rimasero inevitabilmente schiacciate tra i blocchi contrapposti della guerra fredda. La parabola del loro movimento si esaurì nel 1957, in clima di piena destalinizzazione. Gli attivisti confluirono generalmente nei partiti della sinistra, perlopiù nel Psi. Di quella esperienza politica rimane oggi la testimonianza di un coraggioso dissenso, l’impegno disinteressato di molti militanti che andarono alla ricerca di un socialismo indipendente. Learco Andalò (1931) aderì all’Mli nel 1951 e militò nel movimento creato da Magnani e da Cucchi fino al suo scioglimento. Recentemente ha curato il volume L’eresia dei magnacucchi sessant’anni dopo. Storie, analisi, testimonianze (Bononia University Press, 2012).

Come ti avvicinasti al movimento di Magnani e di Cucchi, all’inizio degli anni Cinquanta?
Vivevo in un paesino vicino a Imola, Toscanella, e studiavo a Urbino. Ero un ragazzo di vent’anni che leggeva di tutto; quando vedevo una rivista nuova subito la compravo, con i pochi soldi che avevo. Il primo numero di Risorgimento socialista, il settimanale dell’Mli, uscì il 16 giugno del 1951. Quando lo aprii, vidi che si parlava di questo socialismo autonomo e indipendente, non subordinato all’Unione Sovietica e nemmeno alla politica estera americana. Io non ero iscritto a nessun partito, però mi consideravo, se vuoi genericamente, di sinistra. Del resto, a Imola, cosa si può essere, con Andrea Costa e tutto il resto? Vidi che il Movimento dei lavoratori italiani aveva una sede a Bologna, città nella quale andavo spesso, soprattutto per usufruire delle biblioteche.
Arrivai allora in bicicletta all’indirizzo dell’Mli in Strada Maggiore 7, e quando entrai trovai alcune persone, la maggior parte delle quali erano ex partigiani che avevano combattuto con Cucchi durante la guerra di liberazione. C’era una fedeltà partigiana molto forte. Tieni conto che, almeno all’inizio, erano questi amici partigiani che andavano attorno alla casa di Cucchi a fare servizio di sicurezza, soprattutto di notte. Cucchi e sua moglie, infatti, avevano ricevuto tante telefonate di minaccia, dopo la rottura con il Pci.
Ero un po’ titubante, molto timido, abbozzai una frase: "Vorrei avere qualche informazione”. Capirono il mio impaccio e mi chiesero: "Vuoi parlare con Magnani? È di là”. E, così, mi trovai di fronte a Magnani e lui fu bravissimo, perché capì che ero un ragazzo con qualche difficoltà relazionale, e cominciò a farmi parlare, farmi raccontare, e poi alla fine mi disse: "Mi scrivi un articolo per Risorgimento socialista?”. E io scrissi il primo articolo per Risorgimento socialista, sulla situazione imolese.
Qualche mese più tardi, l’11 di novembre, ebbi il primo contatto vero e proprio con la base del movimento. Una corriera di iscritti all’Mli partì da Bologna per andare a Forlì, dove Magnani tenne un comizio.
Ovviamente nel mio paesello, la gente che mi conosceva mi fermava per strada e mi diceva: "Ma sei diventato un Magnacucchi? Ma come, questi sono il peggio del peggio, sono delle spie, ecc. ecc.”. Mi trovai di fronte a questo tipo di ostilità, di avversione… poveretti, li capisco benissimo, questa era l’informazione che avevano. Naturalmente, io rispondevo e difendevo le mie posizioni: "No, queste sono persone che hanno le loro idee, posizioni diverse, discutiamone”. E così via, ma non serviva a molto.
Siccome ero studente universitario, i militanti Mli della sede di Bologna cominciarono a dire: "Ma sai, tu non fai niente, vai e vieni quando vuoi: perché non tieni ogni tanto la sede aperta?”. E allora io, sempre più spesso, pigliavo e andavo a Bologna con la bicicletta, per tenere la sede aperta… e piano piano entrai, in questo modo, nella vita del movimento.
Sia Cucchi che Magnani erano emiliani, di Reggio Emilia. Non è un caso, a mio parere, che siano stati proprio due comunisti emiliani a rompere con lo stalinismo… Nella loro scelta, traspariva probabilmente l’eredità del socialismo autonomista otto-novecentesco, del riformismo storico emiliano-romagnolo...
Sicurissimamente. Entrambi, in ...[continua]

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