Roberto Racinaro è stato per otto anni Rettore dell’Università di Salerno, dove insegna tuttora Storia della Filosofia. Nel giugno ’95 venne arrestato e detenuto per 24 giorni in seguito all’accusa di abuso in atti d’ufficio, accusa della quale si è sempre protestato innocente. Dalla sua vicenda giudiziaria ha tratto spunto per una riflessione sullo stato attuale della giustizia italiana raccolta nel libro La giustizia virtuosa, pubblicato nel febbraio ’95 dall’editore Liberilibri di Macerata.

Il perseguimento del reato d’abuso d’ufficio da parte della magistratura sta provocando una vera strage degli innocenti. Su 100 inquisiti, solo 4 o 5 sono riconosciuti colpevoli in sede di giudizio. Lei cosa pensa di questa situazione?
Indubbiamente, vi sono alcune figure di reato, e l’abuso d’ufficio è tra queste, che vanno riformate perché, nella loro configurazione attuale, possono dar luogo a veri e propri arbitrii, provocando conseguenze incalcolabili. Com’è noto, prima dell’abuso d’ufficio vi era un altro reato, che l’abuso d’ufficio ha sostituito: l’interesse privato. Siccome l’interesse privato aveva una configurazione eccessivamente generica, si è ritenuto di sostituirlo con la figura dell’abuso in atti d’ufficio, ma il rimedio, alla prova dei fatti, si è rivelato inefficace e dannoso quanto il problema cui doveva porre rimedio. Da cittadino comune quale sono, non posso che constatare che l’abuso d’ufficio è un reato di natura tale, per cui basta trovare il magistrato che te lo vuole applicare perché possa essere applicato. Qualsiasi atto amministrativo può diventare, agli occhi di un magistrato, un abuso d’ufficio: se si svolge una gara d’appalto e si calcola male l’Iva, quello che è un errore amministrativo può diventare, agli occhi del magistrato, un abuso d’ufficio e quindi transitare dal piano amministrativo al piano penale, con conseguenze facilmente immaginabili. Basta pensare alla quantità e alla diversità dei casi in cui l’abuso d’ufficio è stato applicato: nel mese in cui sono incappato nei rigori della legge per questo reato, altrettanto è successo ai piloti di Aquila selvaggia, che in quel periodo stavano scioperando. Questo può dare un’idea della genericità del reato.
In buona sostanza, credo che qualsiasi operatore del diritto sappia che l’abuso d’ufficio è il reato di cui alcuni pubblici ministeri, alcuni giudici per le indagini preliminari, si servono per operare una vera e propria intromissione nell’attività amministrativa. In realtà, questa è una limitazione della libertà e della discrezionalità della pubblica amministrazione.
Di certo, questo non è l’unico reato che andrebbe ripreso in considerazione. Penso, ad esempio, al falso ideologico che si basa sul principio secondo cui basta dire una cosa non vera, magari con la migliore buona fede, perché scatti il reato. Se anche questa figura non viene ripensata, collegandola al dolo e quindi alla cattiva fede, qualsiasi pubblico amministratore corre il rischio di trovarsi da un istante all’altro di fronte a un magistrato penale. Occorre ristabilire innanzitutto un rapporto corretto fra le istituzioni e tra i poteri e poi, all’interno del campo del diritto, occorre ristabilire un giusto rapporto tra l’ambito del diritto penale, quello del diritto amministrativo, quello della giustizia contabile, ripristinando controlli interni corretti, che ridiano un equilibrio alle diverse funzioni, ai diversi rami del diritto, altrimenti la situazione della pubblica amministrazione andrà fatalmente verso forme di paralisi ancora più gravi di quelle già in atto oggi. Pensiamo a quanto è avvenuto con Tangentopoli nel campo dei lavori pubblici: oggi è difficilissimo che un alto funzionario, un sottosegretario, metta una firma su un progetto, su un atto, proprio a causa del timore che l’eventuale illecito amministrativo diventi reato penale.
Si può dire, quindi, che la magistratura abbia tentato di assoggettare in tal modo altri poteri dello Stato?
Questo può essere vero, anche se ritengo che la magistratura non potesse non intervenire visto che l’invadenza dei partiti politici, di alcuni partiti politici, nella vita delle istituzioni aveva raggiunto un punto limite. Al di là di questa considerazione di fondo, però, mi sembra evidente che il vero problema della magistratura non riguarda i magistrati che fanno i magistrati, -il che rende privo di senso parlar male puramente e semplicemente della magistratura-, ma riguarda il ruolo politico che la ...[continua]

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