Stefano Levi Della Torre, scrittore e pittore, vive e lavora a Milano.

Vorremmo affrontare il tema del rapporto fra integralismi e laicità, che sappiamo appassionarti in modo particolare. Ultimamente, hai detto che ci sono fenomeni repellenti, come integralismi, fondamentalismi, razzismi, che possono mettere in luce le carenze della laicità, cosa volevi dire?
Premetto che non parto da un punto di vista specificamente ebraico, bensì laico. Credo che proprio questo punto di vista sia particolarmente utile per vedere come aspetti che consideriamo repellenti, fenomeni che disapproviamo profondamente, ci possano insegnare qualcosa. Le forme patologiche ci possono rendere sensibili ai difetti del vivere civile attuale.
Per esempio, cosa ci insegna il razzismo? A ben sentire il razzismo suona come una grande critica a quella che è una degenerazione dell’universalismo. Universalismo, nell’accezione che noi intendiamo spontaneamente, significa qualcosa che riguarda tutti gli esseri umani viventi nel mondo, ma nella dimensione sincronica. Credo che l’universalismo, via via, sia venuto dimenticando quelle che sono le generazioni passate e le generazioni future. Si tratta di un affratellamento di tutti gli esseri umani nella contemporaneità. Il razzismo ci avverte che esiste una dimensione diacronica: l’affratellamento tra le generazioni all’interno di una determinata identità, di una certa cultura, di determinati legami "di sangue". Il razzismo rinfaccia all’universalismo di essersi dimenticato della solidarietà con i morti e con i futuri viventi. E in effetti la manifestazione più concreta dell’universalismo è attualmente il mercato finanziario mondiale, che unisce tutto il genere umano simultaneamente, in tempo reale, in tutte le parti del mondo.
Ecco che, allora, il razzismo ci segnala che l’universalismo subisce concretamente, nel nostro mondo, una degenerazione.
E cosa ci insegna un altro fenomeno sgradevole, l’integralismo? L’integralismo vorrebbe riportare a unità armonica ciò che invece si presenta come dissociazione di ambiti differenti, per esempio quello religioso da quello civile, ecc., quindi come una specie di schizofrenia e una perdita di coerenza dell’essere umano. L’integralismo avverte che c’è un’esigenza di coerenza, di sintesi, di integrazione.
Cosa ci insegna il fondamentalismo, cioè la pretesa di poggiare su fondamenti? Ci insegna che noi attualmente viviamo in una situazione di grande empirismo, che gli orientamenti vengono tratti da oracoli estremamente labili come l’opinione, il sondaggio, l’andamento della borsa o del mercato e che manchiamo di fondamenti solidi. Se ci lamentiamo, giustamente, del fatto che risorgono razzismi, integralismi, fondamentalismi, dobbiamo anche vedere da quali nostre carenze traggono alimento. Dunque, la laicità ci invita a trarre da fatti negativi qualche utile indicazione autocritica.
Un altro esercizio cui ci spinge la laicità può essere quello di vedere gli aspetti negativi delle categorie "buone".
Per esempio, il dialogo tra le culture è un’ottima cosa, che però spesso diventa richiesta di interesse spasmodico per le altre culture, mentre bisognerà pur distinguere tra ciò che mi interessa e ciò che non mi interessa delle altre culture, perché, se non altro, non ho la forza di occuparmi di tutto.
Qui si insinua un delirio di onnipotenza, l’illusione che con un po’ di buona volontà possa conoscere e preoccuparmi per tutte le altre culture. Manterrei invece due punti fermi. Il primo è che le culture hanno qualcosa da dirsi, se mantengono un certo grado di differenza, ma anche di indifferenza. Bisogna evitare la confusione generale, una poltiglia, magari piena di amore e di buoni sentimenti. Una certa indifferenza tra le culture ha qualcosa di sano. Il secondo è che il dialogo tra le culture, tutto sommato, presuppone che esista una metacultura, cioè una cultura delle culture, di cui saremmo portatori: enorme presunzione che sostituisce due altre presunzioni precedenti, cioè quella che escludeva e quella che assimilava le altre culture. L’atteggiamento sano è quello di essere consapevoli della propria cultura e vedere come può confrontarsi con le altre; non quello di sentirsi dentro a una supercultura che le abbraccia tutte.
La parola tolleranza è un’altra di quelle parole di grande uso, eppure controverse. Ci sono valori universali che autorizzano a essere intolleranti con chi non li rispetta?
Si è parlato molto dell’aporia della tolleranza ...[continua]

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