Enzo Traverso, storico, insegna all’Università di Amiens e all’EHESS di Parigi, dove vive. Recentemente, ha pubblicato Gli ebrei e la Germania, Il Mulino 1994, e ha curato l’edizione degli atti del convegno Insegnare Auschwitz, tenutosi a Torino nel ’93, pubblicati per le edizioni Bollati Boringhieri nel ’95.

Il concetto di unicità della Shoah è un concetto inservibile, da buttare via, una benda sugli occhi, oppure conserva una qualche validità?
"Unicità" è un concetto ambiguo, che va precisato, perché ci sono vari modi di affermare l’unicità della Shoah. A mio avviso, per dipanare la confusione che regna nel dibattito intorno all’unicità o meno del genocidio degli ebrei, bisognerebbe cercare di storicizzare Auschwitz. Non è inutile ricordare, a questo proposito, che la centralità assunta oggi da questo dibattito va messa in relazione al silenzio con cui il genocidio degli ebrei è stato accolto nel momento in cui avveniva, e subito dopo la guerra. La centralità, a volte esclusiva, a volte eccessiva, a volte deformante, del concetto di unicità, è il prodotto di una presa di coscienza molto tardiva della dimensione del genocidio degli ebrei, del suo carattere nodale nella storia della seconda guerra mondiale e, più in generale, nella storia del XX secolo. Quasi a compensazione di questo ritardo, ora si reagisce enfatizzando la portata e il carattere di quell’evento. Questo è un problema che riguarda soprattutto gli intellettuali, che vogliono svolgere, e spesso hanno svolto, il ruolo di coscienza critica della società. Se cerchiamo di analizzare la reazione degli intellettuali al genocidio degli ebrei, ci rendiamo subito conto che Auschwitz, nella storia intellettuale del XX secolo, non è paragonabile né al caso Dreyfus né alla guerra civile spagnola né a quella del Vietnam, per citare quegli eventi di fronte ai quali gli intellettuali sono stati chiamati a pronunciarsi, a esprimere il loro giudizio politico-morale, a prendere posizione. Se tutti oggi riconoscono Auschwitz come un evento centrale nella storia del XX secolo, una sorta di "rottura di civiltà", lo fanno con almeno trent’anni di ritardo rispetto all’evento stesso. Il dibattito sulla Shoah, sull’unicità o meno della Shoah, è un dibattito che inizia verso la fine degli anni Settanta. Questo non va dimenticato.
Lei, più che parlare di unicità, preferisce parlare di singolarità storica della Shoah…
Già durante la guerra alcuni osservatori e intellettuali hanno riconosciuto nella Shoah un evento unico nella storia. A mia conoscenza, si tratta di un americano, Dwight Macdonald, direttore della rivista Politics, che nel ’45, prima della fine del conflitto, scrive sul suo giornale che i campi di sterminio, cioè il massacro industrializzato e sistematico di un popolo, rappresentano qualcosa di nuovo, di storicamente inedito, e quindi di unico. Poco dopo, Vladimir Jankélévitch, in Francia, scrive che, a differenza degli altri massacri e genocidi della storia, lo sterminio degli ebrei per la prima volta colpisce le vittime non per quel che fanno, ma per quel che sono; in altri termini, c’è una volontà di sterminio che non riguarda un nemico, un comportamento, delle azioni, ma colpisce un’essenza etnica o razziale: si tratta di eliminare un gruppo umano che non ha diritto di vivere; si tratta, quasi, di ontologizzare la colpa della vittima. A me sembra che già questi due criteri di giudizio vadano presi in considerazione. All’epoca, non hanno suscitato alcun dibattito, si trattava di prese di posizione rapidamente dimenticate, ma il fatto che il termine "genocidio" nasca durante la seconda guerra mondiale in riferimento allo sterminio degli ebrei, mi sembra rivelare la presa di coscienza della necessità, quasi, di forgiare un concetto nuovo per cercare di definire qualcosa che va al di là dell’esperienza storica, di quel che si conosce, per capire un genocidio che si differenzia da quelli del passato.
Ora, secondo me, è possibile parlare di una singolarità storica della Shoah e di Auschwitz, nel senso in cui l’hanno definita Jankélévitch e Macdonald. Questo appare in modo abbastanza chiaro a partire da una messa in prospettiva storica di Auschwitz, da una comparazione di Auschwitz con gli altri genocidi di questo secolo o del passato. Vidal-Naquet ha fatto l’esempio sul vostro giornale del genocidio degli armeni, che sicuramente ha costituito, se non il modello, comunque un precedente importante, di cui i nazisti stessi erano coscienti. C’è ...[continua]

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