Carlo Guarnieri insegna alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna.

Cosa pensa della sentenza suicida con cui si costrinse la Cassazione ad annullare la sentenza di assoluzione nei confronti di Sofri, Bompressi e Pietrostefani?
Intanto, diciamo cosa s’intende per sentenza suicida. Si dice "suicida" quella sentenza la cui motivazione è redatta in modo manifestamente illogico e incoerente, al fine di permettere al controllo della Corte di Cassazione di annullare la sentenza stessa. Ora, il caso Sofri non è un’eccezione. Io non so dirle quante volte sia stata usata, non c’è una statistica sulla sentenza suicida, però le sentenze suicide sono note, sono conosciute. Non è che ce ne siano tantissime, ma ce ne sono diverse. Dopo che ho parlato con voi (vedi l’intervista apparsa nel n. 55 di Una Città, ndr.) sono andato a controllare e ho trovato un caso notissimo, addirittura del 1949, citato in un saggio famoso. In questo caso la sentenza suicida è, diciamo, "di sinistra", nel senso che si trattava del processo ai presunti mandanti dell’assassinio dei fratelli Rosselli, avvenuto in Francia, i quali, tra l’altro, erano ufficiali del Sim, cioè del servizio informazioni militari. Bene, dopo una serie di altri processi, assoluzioni e annullamenti, furono infine processati nel ’49 dalla Corte d’Assise di Perugia, la quale li assolse con una sentenza suicida. Rileggo qui dal saggio di Achille Battaglia, un vecchio avvocato che scriveva negli anni Cinquanta: "Per nove pagine di motivazione l’estensore ribadisce la sua convinzione della colpevolezza degli imputati e poi in nove righe rileva che, nonostante le prove, resta un dubbio tenue, è vero, ma pur sempre un dubbio sulla loro responsabilità. In conseguenza di questo dubbio, che è pure vago e affidato a supposizioni incerte, la Corte ravvisa di assolvere ... per insufficienza di prove"; a quel tempo c’era l’insufficienza di prove. Quella fu una chiara sentenza suicida. Poi andò a finire che, nonostante la sentenza suicida, il Procuratore di Perugia non fece appello in Cassazione, il che, se vuole, è una cosa abbastanza buffa, un po’ curiosa, ma l’elemento importante è che Battaglia, in questo suo saggio, indicando questa come una delle più famose sentenze suicide, implicitamente fa riferimento al fatto che di sentenze suicide ce ne siano state diverse.
Quali problemi pone la sentenza suicida?
Direi che la sentenza suicida ha due aspetti, uno riguarda l’etica professionale del magistrato, anche se a me non risulta che ci siano mai state iniziative disciplinari o anche paradisciplinari o di qualsiasi tipo nei confronti degli estensori di sentenze suicide.
C’è un primo aspetto, quindi, che riguarda l’etica giudiziaria, perché siamo di fronte a una sostanziale forma di disonestà da parte del giudice che estende la motivazione della sentenza, che, essendosi trovato in minoranza di fronte ai giurati laici, decide di imbrogliarli. L’altro elemento strettamente connesso con la possibilità stessa della sentenza suicida riguarda la sostanziale inutilità, a questo punto, delle Corti d’Assise come corti miste, nelle quali i giudici popolari siedono, così come in Francia, insieme ai giudici di carriera, almeno ai fini di favorire la cosiddetta partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia. L’aspettativa che un po’ si diffonde è che o i giurati popolari votano secondo le indicazioni o i desideri e gli orientamenti dei giudici di carriera oppure c’è questa specie di bomba ad orologeria che può esplodere...
Ma ci sono casi assolutamente eccezionali che potrebbero giustificare il ricorso alla sentenza suicida?
Ci sono delle situazioni in cui la partecipazione popolare non è possibile o comunque è fortemente disfunzionale, contesti in cui la sicurezza pubblica è messa a repentaglio; ma anche in quel caso trovo il sistema della sentenza suicida assolutamente ipocrita: in quel caso, il sistema della giuria al limite è meglio sospenderlo e poter formare un tribunale di soli giudici di carriera che si assume le proprie responsabilità. Questo comunque non è il caso del processo a Sofri, Bompressi e Pietrostefani. Il loro è un caso di reati, se non comuni, ma che rientrano in una situazione, tutto sommato, non di eccezionalità.
Se non si vuole questo, allora è più opportuno il sistema della separazione fra giudici popolari e giudici togati, lasciando la giuria, che deve giudicare del fatto, solo ai popolari com’è negli Stati Uniti. Tra l’a ...[continua]

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