Christian Bachmann, sociolinguista, insegna "Politiche pubbliche" alla tredicesima università di Parigi. Si occupa prevalentemente dello studio delle periferie urbane francesi. Su questo tema ha pubblicato nel ’96 Violences urbaines, per le edizioni Albin Michel.

Quando ci si è accorti che in Francia i giovani delle periferie parlavano una nuova lingua? In che cosa consiste questo nuovo francese popolare che prende il nome di verlan?
Fu all’inizio degli anni Ottanta che in Francia ci si accorse dell’apparire nelle cités, cioè nei quartieri poveri alla periferia delle grandi città, di nuove forme linguistiche, che consistevano sostanzialmente nell’invertire le sillabe delle parole francesi. Per esempio, uno dei termini più diffusi, che adesso è passato nel linguaggio corrente, è ripou, che è l’inversione di pourri (marcio, corrotto), per designare i poliziotti. Quindi, da pourri nasce, invertendo le sillabe nella pronuncia, ripou. Allo stesso modo tutta una serie di parole è stata invertita nella pronuncia. Parlando di droga, la poudre (polvere) è diventata drepou. Oppure le parole che designano le razze, per esempio black (nero) è diventato kebla; arabe è diventato rebeu oppure beur, parola che, d’altra parte, è diventata molto famosa perché nel 1983 in Francia, a seguito dell’assassinio di alcuni arabi nelle periferie di alcune città, ci fu la cosiddetta "marcia dei beurs" che attraversò il paese e venne ricevuta all’Eliseo da Mitterrand. Gli ebrei, juifs, sono diventati feujes. Anche tutte le parole della vita quotidiana hanno subìto l’inversione sistematica delle sillabe: per esempio un’audiocassetta, cassette, è diventata una setka.
Il dibattito che nacque a seguito della scoperta di questi fenomeni linguistici ruotava intorno alla domanda: si tratta solo di un gioco linguistico di adolescenti che creano un gergo studentesco, come potrebbero farlo tutti i liceali, compresi quelli dei quartieri bene, oppure si tratta di qualcos’altro? Quello che si notava era un fenomeno eterno, quindi normale, come sono normali i gerghi giovanili, o era, invece, un fenomeno sociologico del tutto nuovo?
Nel 1983 scrissi il primo articolo sul verlan, dove sostenni che bisognava fare molta attenzione perché qualcosa di totalmente nuovo stava accadendo nelle periferie urbane. Non erano solo dei ragazzi che si divertivano, ma un universo sociale nuovo che stava manifestandosi. A seguito del decadimento della società industriale e dei meccanismi di integrazione ad essa propri, fossero essi le associazioni, il lavoro sociale, la scuola come strumento di riuscita personale nell’esistenza, come mezzo di promozione sociale; a seguito dell’apparire della disoccupazione di massa e del lavoro precario, in certi quartieri, con il trascorrere del tempo, si erano trovati a vivere insieme centinaia di migliaia -adesso sono milioni in Francia- di giovani di tutte le origini possibili, privi ormai di una sicura tradizione francese alle spalle, divenuti, come si diceva negli Stati Uniti a proposito del rock’n roll, degli absolute beginners, dei debuttanti assoluti, costretti a reinventare un modo di vivere, una cultura propria. Il sintomo più evidente che ci trovavamo di fronte a sommovimenti importanti era che a cambiare non erano solo le parole. Quando si parla un gergo studentesco, quando i figli della classe media giocano con il linguaggio, in genere lasciano intatta la sintassi e, talvolta, anche la morfologia e la fonetica. Quel che stava succedendo nelle periferie, invece, era che tutti i livelli linguistici stavano subendo una mutazione. Non nascevano solo parole nuove dall’inversione delle vecchie, ad apparire era tutto un modo nuovo di parlare, sia in termini di fonetica che di sintassi che di morfologia. Per capire meglio, bisognerebbe fare altri esempi più complicati dei precedenti. Io ne faccio sempre uno che è però impossibile da trascrivere sulla carta perché riguarda la fonetica.
Il vecchio francese popolare, quello parlato nei film di Jean Gabin o della Arletty o nei film degli anni Trenta, era un francese strascicato, perché si strascicavano le parole, ed aveva un accento d’arrière, cioè una pronuncia palatale. Penso qui a una famosa frase della Arletty in un film: "Atmosphère, atmosphère! Est-che-que j’ai une gueule d’atmosphère?!", tutta pronunciata d’arrière.
Ora i giovani delle periferie, e anche il loro è un francese popolare, hanno una pronuncia inversa, cioè quando parlano, pronunciano le parole c ...[continua]

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